"La vita insegna agli uomini più di tutte le teorie, più di tutti i libri. Coloro che vogliono mettere in pratica quel che hanno appreso da altri bevendolo nei libri scritti, si sbaglieranno; coloro che riportano sui libri ciò che hanno appreso nei labirinti della vita, faranno forse un'opera maestra. La realtà e il sogno sono cose diverse. Sognare è buono e bello, perché il sogno è, quasi sempre l'anticipazione di ciò che deve essere; ma la cosa sublime è rendere la vita bella, far della vita, realmente, un'opera bella.".
Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro
sulle capitolazioni del 1937,
di un incontrolado della Colonna di Ferro, Torino 1981.
Presentazione
Parlare degli avvenimenti spagnoli significa oggi, dopo 60 anni, riconsiderare le condizioni in cui quegli avvenimenti si sono svolti, sviluppare un'analisi puntuale, ricostruire i fatti senza paure delle conseguenze che questi possono avere sulle coscienze, ma capire e trarre gli insegnamenti dalla tragedia spagnola. Di tragedia si tratta. L'ultima tragedia prima di quella immane della seconda guerra mondiale dove il proletariato si è trovato ingabbiato in due fronti contrapposti, ideologicamente presentati come quello della libertà contro la barbarie nazifascista.
In Spagna nel 1936, ma anche negli anni precedenti, gli oppressi hanno sollevato per un attimo la testa, si sono buttati generosamente nella battaglia, a mani nude e contro un nemico armato e organizzato, sognando un domani diverso, senza farsi bloccare dalle conseguenze che la loro sconfitta avrebbe comportato. La ritorsione delle classi dominanti è stata bestiale, né poteva essere diversamente contro chi cerca a tentoni di riscattarsi e di riconquistare la propria dignità di uomini.
La sconfitta dei lavoratori spagnoli - se vogliamo fare un'opera seria di riflessione - va ricercata nei lavoratori stessi, nelle loro illusioni, nelle loro speranze e non solo in chi ha sparso a piene mani queste illusioni. Se i fascisti, gli stalinisti, hanno schiacciato materialmente i lavoratori, non è possibile oggi attribuire solo a questi la causa della sconfitta operaia: le cause sono più profonde e vanno ricercate nella degenerazione del movimento comunista internazionale, quel movimento che nato per emancipare le classi subalterne si è trasformato nel suo principale oppressore e mistificatore. Occorre ricercare le cause nelle coscienze del proletariato internazionale, criticando senza timore i suoi tentennamenti.
Gli avvenimenti di Spagna nel 1936 hanno, a suo tempo, attirato l'attenzione dei giovani e meno giovani proletari di tutto il mondo che sono partiti (se a ragione o torto sarà cosa da discutersi) nel tentativo, o nell'illusione, di difendere la "libertà", spesso quella libertà che non erano riusciti a difendere nel loro paese: è stata una sorta di tentativo frustrato di riscatto postumo. Per costoro un'ulteriore sconfitta nella sconfitta.
Non riteniamo che l'iniziativa "Spagna '36" debba essere una delle solite rievocazioni, con i suoi riti e le sue litanie, ma - non stanchiamoci di ripeterlo - un'occasione per ripensare criticamente tutto quel periodo. Il periodo che parte dalla prima guerra mondiale e che ha visto forti ondate rivoluzionarie in Russia e successivamente in Germania e in Ungheria senza tuttavia riuscire a ricongiungere le due aree, quella est-europea con quella occidentale: le rivoluzioni fatte a metà si scavano la fossa. La Spagna è entrata nel girone delle forti rivolte proletarie con forte ritardo e in un paese con una struttura arretrata. Nostro compito è portare a conoscenza e studiare questi movimenti, questi accadimenti, senza farne l'apologia e senza ideologie di sorta. Casomai sollevamenti proletari come quelli della Spagna, a partire dai primi anni '30, vanno studiati e criticati per la loro parzialità la loro incoerenza e le loro mezze misure, ma vanno altresì ammirati per la loro generosità e la totale dedizione di chi vi partecipava. Questa iniziativa deve essere un momento, non l'unico, per riflettere sulle conseguenze dell'atteggiamento del proletariato. Dalla sua sconfitta, attraverso il laboratorio spagnolo, la classe capitalista mondiale ha avuto mano libera per scatenare la seconda guerra mondiale e per legare la classe operaia mondiale al carro delle diverse borghesie rivali ma unite contro di essa. Attraverso l'opera del Fronte Popolare, prima, e un generico antifascimo successivamente, da una parte, e il fascismo, dall'altra, il proletariato mondiale si è trovato a fronteggiarsi per ridare nuova linfa al capitale affinché riprendesse il nuovo ciclo di accumulazione del secondo dopoguerra.
I proletari oggi devono ricordare l'atteggiamento del Fronte Popolare, la vigliacca determinazione nello stroncare le istanze di emancipazione della classe lavoratrice. Ricordare e studiare il passato non accademicamente ma per capire il presente e per intervenirvi è uno dei compiti di questa iniziativa. Notiamo, en passant, che attraverso il cinema - ad esempio Terra e libertà, la letteratura -le riedizioni di Omaggio alla Catalogna, i dibattiti e le interviste sulla stampa, sta nascendo un nuovo interesse per la Spagna della guerra civile. Purtroppo si deve rilevare che il compito è demandato agli specialisti, storici, giornalisti, registi, opinion-maker, a tutti, insomma, fuori che ai proletari o a coloro a cui stanno a cuore i loro interessi. Pertanto dibattiti e discussioni come quelli a cui abbiamo assistito, ad esempio dopo l'uscita del film di Ken Loach, erano e sono mistificanti perché svolti sul terreno asettico della ricerca culturale quando non asserviti a interessi di schieramento di parito. Mistificanti non solo nelle risposte, ma anche nelle domande che pongono. La domanda non è come difendere una democrazia astorica, ma come strappare i veli al fantasma della democrazia borghese di oggi, alle sue mistificazioni che sorreggono la società del capitale e del dominio della merce. Lasciamo agli accademici il loro lavoro, il nostro potrebbe essere quello di toglierci dai piedi tutti gli accademici.
Florilegio di Spagna
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Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze mentre oggi il passato continua come distruzione del passato"T.W.Adorno - M.Horkheimer
Dialettica dell'illuminismo, 1947
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Come è sospetto ogni libro che non sia appena uscito, come il pensiero della storia, al di fuori della scienza storica specializzata, innervosisce i tipi attuali, così li manda in bestia il passato dell'uomo"T.W.Adorno - M.Horkheimer
Dialettica dell'illuminismo, 1947
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Ero venuto in Spagna con la vaga idea di scrivere degli articoli per qualche giornale, ma mi ero arruolato nella milizia quasi immediatamente, perché a quel tempo e in quell'atmosfera sembrava la sola cosa che si potesse pensar di fare (...) Praticamente ogni edificio di qualsiasi dimensione era stato occupato dai lavoratori (...) Qua e là le chiese venivano sistematicamente demolite (...) Forme servili o anche soltanto cerimoniose del parlare erano temporaneamente scomparse (...) C'erano molte cose che non comprendevo (...) ma riconobbi immediatamente uno stato di cose per il quale valeva la pena di battersi (...) Soprattutto, si sentiva diffusa nell'aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l'impressione d'essere improvvisamente emersi in un'era di uguaglianza e di libertà. Gli esseri umani cercavano di condursi come esseri umani e non come denti di una ruota nella macchina capitalistica."George Orwell
Omaggio alla Catalogna, 1937
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Quante notti, riuniti gli uomini che formavano un grappolo o un pugno, comunicando ai miei compagni, gli anarchici, le mie pene e i miei dolori, ho trovato laggiù, nell'asprezza della montagna, di fronte al nemico che ci spiava, una voce amica e delle braccia affettuose che mi hanno nuovamente fatto amare la vita! E allora, tutte le sofferenze, tutto il passato, tutti gli orrori ed i tormenti che hanno segnato il mio corpo, li gettavo al vento come se fossero di altri tempi, e mi abbandonavo allegramente a sogni d'avventura vedendo con la febbre dell'immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero vissuto, ma che desideravo; un mondo dove nessuno di noi aveva vissuto, ma che molti di noi avevano sognato. E il tempo passava volando, e le fatiche non entravano nel mio corpo, e il mio entusiasmo aumentava, e diventavo temerario e al mattino uscivo in ricognizione per scoprire il nemico, e... tutto per cambiare la vita; per imprimere un altro ritmo a questa nostra vita; perché gli uomini, ed io tra loro, possono essere fratelli; perché l'allegria, almeno una volta, esplodendo nei nostri petti esplodesse sulla terra; perché la Rivoluzione che è stato il nord e l'insegna della Columna de Hierro, potesse essere, in un tempo non lontano, una realtà."Un incontrolado della Colonna di Ferro
Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni del 1937, 1937
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i rapporti umani del socialismo sono stati realizzati, per qualche settimana, a Barcellona nel 1936."Internazionale situazionista
Indirizzo ai rivoluzionari d'Algeria e di tutti i paesi, 1965
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Ciò che era accaduto in Spagna, infatti, non era semplicemente una guerra civile, ma l'inizio di una rivoluzione. E' questo che la stampa antifascista fuori della Spagna ebbe cura particolare di nascondere. Il quadro fu ristretto nei termini di "fascismo contro democrazia", e l'aspetto rivoluzionario nascosto il più possibile (...) La ragione principale era questa: che, a eccezione dei piccoli gruppi rivoluzionari che esistevano in tutti i paesi, il mondo intero era fermamente deciso ad impedire la rivoluzione in Spagna. In particolare il Partito Comunista, con la Russia Sovietica alle spalle, aveva gettato tutto il suo peso contro la rivoluzione. Si trattava della tesi comunista che, in quella fase, la rivoluzione sarebbe stata fatale e ciò a cui bisognava tendere in Spagna non era il dominio del proletariato, ma la democrazia borghese. Non c'è bisogno di spiegare perché l'opinione del capitalismo "liberale" si basasse sullo stesso punto di vista. Capitali esteri erano stati largamente investiti in Spagna (...) Se la rivoluzione fosse andata avanti, non ci sarebbero stati risarcimenti, o in misura limitatissima; se la repubblica capitalista fosse prevalsa, gli investimenti di capitali esteri sarebbero stati garantiti. E poiché la rivoluzione avrebbe dovuto essere soffocata, semplificò grandemente le cose fingere che non era scoppiata nessuna rivoluzione. In questo modo il vero significato d'ogni avvenimento poté venir mascherato (...) La situazione che venne a determinarsi fu delle più strane. Fuori dalla Spagna ben pochi capirono che una rivoluzione era in atto; all'interno della Spagna nessuno ne dubitava."George Orwell
Omaggio alla Catalogna, 1937
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Contro molte previsioni e tutte le speranze, il progresso delle arti e dei mestieri, delle scienze e delle tecniche, non ha arrecato un parallelo progresso intellettuale e morale all'umanità ma le procura piuttosto una sensibile regressione. I "lumi", come si diceva nel XVIII° secolo, sono oggi in proporzione inversa alle conquiste dell'elettricità. Tutto ciò che doveva illuminare la coscienza dell'uomo e delle folle viene usato per ingannare meglio, per diffondere pregiudizi, per forgiare finzioni, per nutrire e consolidare partiti presi. La stampa, il libro, la radio, la stessa fotografia e il cinema fanno, riguardo a ciò, più male che bene. E ogni giorno decresce il numero delle persone in grado di ragionare con la propria testa da quando dei meccanismi servono a moltiplicare la diffusione dell'errore manifesto o di flagranti controverità. Delle oligarchie occulte pensano per le collettività, dei mercenari fabbricano l'opinione, dei mediocri hanno piena licenza di pervertire lo spirito pubblico. Ne abbiamo quotidiane dimostrazioni su tutti i piani della vita sociale. Ciascuno nella sua sfera abituale potrebbe rilevare esempi come quelli offerti dagli affari spagnoli."Boris Souvarine
Choses d'Espagne, ottobre 1937
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Mentre si preparavano le elezioni per le Cortes, Heinz un giorno chiese al suo lustrascarpe quali risultati a suo avviso ci si potesse attendere dalla consultazione. L'uomo, di solito molto loquace, rimase un po' in silenzio, poi si drizzò e diede una lezione ad Heinz, una lezione che non ho mai potuto scordare. Quando incominciò a parlare la sua voce aveva un tono di velata ironia: "Senor, non comprendo come proprio lei possa rivolgermi una simile domanda. Suppongo sia tedesco e..." si interruppe e squadrò lentamente Heinz dal basso verso l'alto. Poi proseguì in un tono un poco incerto: "...se non sbaglio lei dovrebbe essere un oppositore di Hitler; dunque probabilmente un rifugiato politico socialista o comunista... La prego di scusarmi, signore, se mi permetto simili considerazioni, ma la sua domanda mi ci ha costretto. Lei sa meglio di me che alle elezioni politiche dell'anno scorso i socialisti e i comunisti assieme hanno ottenuto più di quattordici milioni di voti. Ma cosa è servito al movimento operaio? A nulla! Nonostante la sua vittoria elettorale il movimento operaio è stato schiacciato dai fascisti... Io non riesco a capire come lei, che è della sinistra tedesca, possa ancora credere che una decisione politica passi attraverso le elezioni o il parlamento...", poi soggiunse con una voce piena di dignitosa superiorità: "Senor, io sono anarchico e rifiuto sia le elezioni sia il parlamento. C'è solo una via che porta alla libertà e al comunismo: L'azione diretta!". Poi si piegò nuovamente sulle scarpe di Heinz e diede loro l'ultima lucidata."Margarete Buber Neumann
Da Potsdam a Mosca, 1957
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In queste condizioni ho deciso di entrare in una milizia anarchica ed eccomi al fronte a Pino de Ebro... Vorrei poterti raccontare tutte le canagliate degli staliniani che sabotano apertamente la rivoluzione con l'appoggio entusiasta, evidentemente, dei piccoli borghesi di tutte le sfumature."Benjamin Péret
Lettera ad André Breton, 7 Marzo 1937
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il portiere, o meglio il funzionario della polizia politica che lavorava dietro il tavolo di controllo, ci porse una lettera, era stata spedita da Parigi, ma dopo averla aperta constatammo che doveva essere stata scritta in Spagna. Ce l'inviava il nostro amico Percy. (...) Sulla lettera era apparso un gran numero di parole color marroncino. "Succo di limone", sussurrò Heinz . "Se si pensa alle censure che ha passato questa lettera...". (...) Ma fummo completamente dominati dall'orrore soltanto dopo aver letto quello che Percy ci aveva scritto segretamente (...). Il contenuto era all'incirca il seguente: "Stalin è l'affossatore della Rivoluzione d'Ottobre. Non ho più speranza in un capovolgimento della situazione. fate il possibile per lasciare il paese [l'URSS] prima che sia troppo tardi. Ma... non venite, mai, in Spagna. Qui operano gli stessi criminali". (...) Non dubitammo un istante della veridicità di quanto ci aveva scritto Percy. (...) Tre giorni prima della festa dei lavoratori, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1937, i passi si arrestarono davanti alla nostra porta (...) tre funzionari della NKVD e il comandante del "Lux" fecero irruzione nella camera. "Heinz Neumann, si alzi! Lei è in arresto!"."Margarete Buber Neumann
Da Potsdam a Mosca, 1957
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L'Internazionale Comunista non rappresenta nulla ed esiste soltanto per il nostro sostegno"Stalin
Frase raccolta da Lominadzé davanti a testimoni
e riferita da B.Souvarine, Stalin, Apercu historique
du bolchevisme, 1935
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Oserei aggiungere che ho a lungo cercato in che cosa moralmente e intellettualmente, differivate da coloro che colpivate; e non ho trovato che questo: voi avete meno talento di quelli, ma avete il vantaggio di osare far loro ciò che giammai essi vi avrebbero fatto"Armand Robin
Dalla Lettera indesiderabile del 5 aprile 1946
Domanda ufficiale per essere incluso in
tutte le liste nere, diretta ai "borghesi staliniani"
del "Comitato Nazionale Scrittori"
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Io credo che il "compito dei rivoluzionari" che non è stato assolto negli ultimi venti anni potrebbe essere formulato come il loro fallimento nel trovare la via per rappresentare qualcosa di più del puro "completamento" ideale del Partito Comunista. Gli anarchici spagnoli sono stati gli unici a fornire un reale contributo storico in questo senso e tu sai bene quanto doloroso e di breve respiro sia risultato questo contributo - storicamente il migliore - all'assolvimento del compito generale"Karl Korsch
Lettera a Paul Partos del 26-29/7/1939
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L'anarchismo ha condotto realmente, nel 1936, una rivoluzione sociale e l'abbozzo, il più avanzato che si vedesse mai, di un potere proletario (...) e d'altra parte, nella misura in cui questa rivoluzione non era stata conclusa nei primi giorni, dato che esisteva un potere franchista in metà del paese, fortemente appoggiato dall'estero allorché il resto del movimento proletario internazionale era già stato sconfitto, e dato che sopravvivevano nel campo della repubblica delle forze borghesi o altri partiti operai statalisti, il movimento anarchico organizzato si è mostrato incapace di estendere le mezze-vittorie della rivoluzione, e anche solo di difenderle. I suoi capi riconosciuti sono diventati ministri, e ostaggi dello Stato borghese che distruggeva la rivoluzione per perdere la guerra civile"Guy Debord
La società dello spettacolo, 1967
A cura di M.L.
Visioni di una transizione mancata
Questo forse poteva essere un altro logo per la nostra iniziativa. Avrebbe significato cioè mettere in evidenza tre categorie - non diremmo interpretative, ma piuttosto costitutive - di eventi che, come quelli spagnoli, hanno visto il movimento impetuoso di masse di milioni di lavoratori contrapporsi e sovrapporsi a quello, convenzionale, dei macroassetti (economici, politici, statuali), forzandone i tempi o rimanendovi intrappolato.
La transizione come fase, non solo di un ipotetico processo rivoluzionario ma di trasformazione accelerata di un assetto socio-economico e delle sue determinazioni istituzionali. Trasformazione che fonda concretamente le possibilità del suo dipanarsi sull'esistenza di condizioni che negherà e stravolgerà nel suo procedere. Transizione come punto di non ritorno, qualunque ne sia l'esito, perché comunque le cose non saranno mai più come prima. Transizione infine come ipostatizzazione di caratteristiche omogenee di una fase nella quale l'alterazione continua dei rapporti sociali, di classe, fra gli uomini, fra gli uomini e le cose, è la quotidianità, l'apparenza di una normalità recuperata.
L'incompletezza, cioè la transizione mancata verso l'esito possibile e desiderato. L'incompiutezza di un processo sociale e politico rivoluzionario che ha costantemente alluso alla propria meta - il comunismo incarnato - negli atti e le parole, nelle realizzazioni e nelle idee, nelle lotte vinte e nelle battaglie perse. L'incompiutezza di ogni perseguimento utopico che tanto più si approssima al suo modello tanto più ne sconta l'esserne al di là dei tempi della storia e al di fuori dell'esperienza concreta delle masse lavoratrici e delle loro avanguardie. L'incompletezza come valore in sé, perché al bisogno di comunismo, che ciclicamente riaffiora nelle aspirazioni delle masse sfruttate, potrebbe non esservi risposta definitiva nel fluire della storia sociale o, ove questa vi fosse, ne costituirebbe la fine.
Infine la visione nella sua duplice accezione di rappresentazione dei fatti e degli eventi e di trasfigurazione mitica o oniricamente subordinata alla propria Weltanschauung degli stessi. Due piani che si intersecano e rimandano l'uno all'altro per quel tanto di visionario che c'è nel tentativo di rappresentazione più oggettiva dei fatti sociali e per quel tanto di capacità descrittiva e di potenza esplicativa che è presente nelle trasfigurazioni visionarie più esasperate. Ancora la visione nel suo duplice significato della rappresentazione che noi oggi noi ci diamo di allora e delle rappresentazioni che allora si davano del proprio agire, della propria condizione i protagonisti, testimoni o vittime di quegli eventi. Siccome banalmente la prima è ampiamente costruita sulle seconde e, meno banalmente, queste ultime spesso condizionate dalla lettura futura che ne sarà fatta e quindi dalla prima, anche qui si dà un gioco di rimandi e di allusioni che situa l'oggettività nel limbo delle buone intenzioni. L'unico modo per rompere questo gioco di scatole cinesi sarebbe la scelta forte di un paradigma interpretativo privilegiato, presumibilmente in sintonia con una progettualità politica condivisa, ma siccome quest'ultima non si dà né è obbiettivo di questa iniziativa e la scelta del primo può esserne a stento un obbiettivo, non resta che assumere fino in fondo la difficoltà di una rappresentazione molteplice e multiforme, l'apparente inconcludenza dell'assemblaggio di visioni strutturalmente, medialmente, politicamente differenti.
Fatta questa premessa rimangono ancora un paio di questioni "pesanti" da affrontare. La prima è quella della memoria e del futuro a cui si allude nel titolo dell'iniziativa. Così messe le cose potrebbe emergere un intento "educativo" nella riproposizione di quegli eventi o il delineare un contenuto "didattico" intrinseco alla storia recuperata. Entrambi gli intendimenti dunque proietterebbero il passato sul futuro in una sorta di ammaestramento soggettivamente o oggettivamente caratterizzato. In parte è così, in parte no. Certamente c'è un intento condiviso di recupero, ma più di problematiche che di esperienze da riproporre come "esemplari" e non solo per la mancanza, sopra esposta, di una progettualità comune ma per ragioni più profonde. In altre parole il pericolo più evidente è quello di decontestualizzare avvenimenti ed esperienze profondamente radicati all'interno di coordinate spazio-temporali (e dunque sociali, culturali, politiche ed economiche) differenti dalle nostre. Un altro pericolo - certo presente anche nella nostra scelta di riproporre in termini di problemi aperti i grandi temi della rivoluzione mancata spagnola - è quello di considerare i processi storici o necessariamente determinati o ricorsivamente determinati, riproponenti cioè categorie dicotomiche (riforme - lotta di classe, lotta antifascista - lotta rivoluzionaria, ecc.) sostanzialmente invarianti nei cambiamenti di scala o nei mutamenti degli elementi costitutivi. Il recupero della memoria, della storia dimenticata, marginalizzata o soppressa è un valore in sé che prescinde largamente dalla quantità, dalla qualità e dall'assimilabilità degli elementi ritrovati. E' la ricchezza o la povertà del quadro che si va a ricostruire come sezionamento vivo di un processo storico, gli esiti e le cause possibili, le sue potenzialità, i suoi limiti, i suoi condizionamenti e soprattutto ciò che fu ritenuto e rappresentato come tale che importa ed è "lezione" per il futuro; anzi per l'oggi inteso come complessità degli snodi verso il domani. Al di fuori di questo c'è solo l'attribuzione, soggettiva o multisoggettiva, di coerenze e consequenzialità improprie a processi non rappresentabili in toto anche qualora se ne moltiplichino i punti e i canoni d'osservazione.
Ed è proprio questa la seconda questione da affrontare: la molteplicità dei punti di vista e degli strumenti che questi veicolano chiarisce o complica il quadro degli eventi che vogliamo rappresentare? E in subordine (o in senso fondativo?) ci sono strumenti (testimonianze scritte, orali, fotografiche, documentarie; analisi; interpretazioni; ecc.) che garantiscano più d'altri l'oggettività della ricostruzione? Alla seconda domanda bisogna rispondere di no a meno che non si voglia ricadere nell'illusoria convinzione della neutralità del mezzo quando è ben chiaro che anche il meno "elaborato" di essi - la fotografia documentaria, l'istantanea - gronda per così dire di ambiguità, di possibilità inespresse, di interpretazioni e di scelte dell'operatore, del soggetto e del fruitore. Consideriamo ad esempio il caso della celebre fotografia del miliziano colpito. Il focus barthesiano dell'immagine preclude domande importanti. Chi era? Un giovane volontario italiano carico di idealità e accorso generosamente in Spagna? Un contadino aragonese disposto a tutto pur di conservare la possibilità di coltivare la terra liberata? Un incontrolado, un ex-galeotto della Columna de Hierro? Un avventuriero amante delle sensazioni forti? Un mercenario? Da chi è stato colpito? Dal nemico franchista? Da una pallottola vagante? Da un avversario politico nelle sue stesse fila? E' morto? E' solo stato ferito ed è morto in seguito in altra occasione? La foto è un colpo "fortunato" di un grande fotografo o è una finzione come l'innalzamento della bandiera rossa sul Reichstag? E soprattutto ha importanza rispondere a queste domande dato che in Spagna ci sono state tante battaglie e tanti miliziani morti? E se non ha importanza non si rompe allora il legame diretto e forte tra l'avvenimento e la sua documentazione? Allora dietro la fotografia ci sono tante Spagne, tante guerre civili e tante rivoluzioni mancate. Ritorniamo con qualche certezza in più (o in meno) alla prima domanda che risulta parzialmente scissa e risolta: la cosiddetta multimedialità (testi, fotografie, iconografia, testimonianze orali, finzione filmica, documentari, ecc.) non risolve il rapporto tra la ricostruzione e l'aderenza ai fatti né lo potrebbe in quanto aggiunzione aritmetica di costrutti rappresentativi che andrebbero destrutturati e ricomposti su di un altro piano.
Più complessa la questione della molteplicità dei punti d'osservazione (politici, culturali). Assumere un'angolazione di 360° delle rappresentazioni e delle interpretazioni che sono state date degli avvenimenti spagnoli significa probabilmente (ma non sicuramente) evitare i manicheismi di certe ideologizzazioni: buoni contro cattivi; rivoluzionari contro reazionari; anarchici, poumisti, socialisti di sinistra, comunisti intransigenti contro borghesi, fascisti e stalinisti. Ma non significa certo rendere più oggettiva la costruzione del quadro d'insieme. Chi sarebbe disposto, nell'ambito della sinistra di classe, a riconoscere ad esempio la stessa "dignità" ai ricordi, alle testimonianze di un combattente per la rivoluzione, di un comunista ligio alle direttive terzinternazionaliste, di un intellettuale di sinistra accorso in Spagna per difendere genericamente la libertà borghese minacciata dal fascismo o addirittura di un volontario dell'altra parte o di un difensore franchista dell'Alcazar di Toledo? Pochi ritengo, e quei pochi in nome esclusivamente di una generica parità di condizioni che viene subito superata e soffocata dalla "corretta" interpretazione di classe di quegli eventi.
Se invece indeboliamo il paradigma interpretativo "forte" della lotta di classe, deterministicamente sovrapposto agli eventi della guerra sociale e dello scontro politico - perché altrimenti poco ci dovrebbe importare di altre testimonianze, di altre percezioni, di altre interpretazioni se non in quanto conferma, in positivo o in negativo, dell'aderenza dei nostri schemi al fluire della storia sociale - apriamo allora il campo ad una molteplicità di punti d'osservazione che, come primo risultato, "diffrange" potenzialmente il monolitismo interpretativo e, in subordine, comunque invita alla cautela rispetto a motivazioni eterodosse.
Non è passaggio da poco in quanto che concerne direttamente il rapporto ambiguo tra l'oggettività rivendicata e il nocciolo duro della multisoggettività praticata di giudizi critici e dell'apparato concettuale e teorico che li permette e li sostiene.
Delle due l'una, o questo rapporto si dà in quanto tale, nella pienezza e nell'autonomia dei suoi termini (rincorrendo il secondo sempre il primo) o si dà nella forma reale di autoreferenza del secondo. In entrambi i casi tuttavia se facciamo provvisoriamente astrazione dai teleologismi possibili (ben sintetizzati, in ultima analisi, da banalità tipo "il senso della storia") non c'è motivo per respingere come insignificanti rappresentazioni ed autorappresentazioni dell'agire e dell'essere sociale, percezioni ed autopercezioni queste fondanti, eticità o esteticità delle scelte e delle prassi conseguenti.
Ma ciò è tanto più problematico in quanto questa trama percettiva complessa nel ridare dignità alle storie individuali, da un lato insidia il paradigma dell'azione di massa come metro e misura esclusiva dei sommovimenti sociali, dall'altro non vi può sostituire - perché non è paradigma, né lo può diventare - lo scomposto e molteplice proliferare delle scelte individuali.
La contraddizione insomma si rinnova e non se ne esce certo derubricando la questione e i suoi termini alle comode categorie di "prepoliticità" se non di "impoliticità", che tanto poi c'è il grimaldello (la scienza o la teoria rivoluzionaria) che apre tutte le porte e spiega tutti gli arcani. Non se ne esce perché non c'è nulla di più, ed allo stesso tempo di meno, "politico" della rappresentazione che gli uomini - specialmente in fasi di profonda crisi sociale - si danno del proprio essere, dei propri moventi e del proprio agire, come singoli o come specifica massa di singolarità all'interno e contro il corpo sociale ovvero la massa generale che regolamenta gli inserimenti, le esclusioni ed anche le contrapposizioni.
Se vogliamo percorrere questa strada fino in fondo siamo allora costretti, per ritornare allo specifico degli avvenimenti spagnoli, a riconoscere un'eticità di fondo (nel senso di una coerenza col proprio sistema di valori) alle scelte, se non ai comportamenti, di quelli che hanno massacrato rivoluzione e proletari. Al terzinternazionalista che era convinto di difendere la rivoluzione internazionale, difendendo l'URSS, Stalin sparando addosso ad anarchici e poumisti a Barcellona nel '37 o magari, volontario nella colonna Lister, facendo piazza pulita delle collettivizzazioni agricole dei contadini catalani. Al volontario fascista italiano, magari un intellettuale frondista, persuaso che lì si giocassero le sorti del fascismo "rivoluzionario", che lì potesse partire la "terza ondata", quella che avrebbe purificato la nazione proletaria in antagonismo alle demoplutocrazie imperialiste. E forse anche al fanatico nazista, un aviatore della Condor, che bombardando Guernica riteneva di contribuire alla fondazione del Nuovo Ordine Mondiale.
Non è mai possibile mettere vittime e carnefici sullo stesso piano, neanche all'interno di un esercizio di speculazione astrattiva; però non è neppure pensabile che assolutizzando le proprie ragioni (siano esse quelle delle vittime o di chi le difende) - seppure all'interno di un quadro di mirabile razionalità - si possano depotenziare le "ragioni" degli altri (anch'esse inscrivibili in altrettanta razionalità) e nasconderne il successo, derubricando psicologie di massa a patologie sociali o a escrescenze parassitarie di rapporti strutturali, oppure risolvendo il tutto nella logica brutale, semplificatrice ed autogiustificante dei rapporti di forza.
Io non se questo scritto e questa iniziativa propizieranno un dibattito su questi problemi (e per la verità non ci perderò il sonno), ma mi verrebbe da dire: "Se non ora, quando?".
Guido Barroero
Spagna '36 - Per la società: rivoluzione,
per lo Stato: guerra
1. La Spagna nel 1936
La società spagnola è caratterizzata da forti contrasti a tutti i livelli: fra le campagne e le città, fra il centro madrileno e le periferie catalane e basche, fra le classi padronali e il proletariato industriale, tra i latifondisti immobilisti e i braccianti ridotti alla fame.
Senza dubbio il problema centrale è quello della proprietà della terra. Gli immensi e aridi territori del Centro e del Sud sono controllati da un ristretto numero di famiglie di antica origine nobiliare che considera la terra e il lavoro agricolo con disprezzo ed estraneità: è un patrimonio da sfruttare, ma senza correre rischi, senza investire capitali per aumentare la produttività del terreno e pagando salari bassissimi ai braccianti. Questi ultimi potevano trovare occupazione solo per pochi mesi all'anno e il loro numero elevato li costringeva ad una disastrosa concorrenza e ad accettare compensi nettamente insufficienti anche alla pura sopravvivenza. Tale situazione insopportabile aveva dato vita ad una costante tensione fra una grande quantità di uomini costretti alla miseria e un ristretto gruppo di terratenientes. Le rivolta rurali costellano la storia sociale agricola, in particolare nell'Andalusia, la più meridionale e la più assolata: qui lo Stato, anche quello repubblicano e sedicente riformista dei primi anni Trenta, era intervenuto di frequente con repressioni sanguinose e indiscriminate.
Nelle regioni del Nord più sviluppato, cioè nella Catalogna e nei Paesi Baschi, dove esisteva una certa industrializzazione, sia pure con impianti generalmente arretrati, il conflitto di classe nei primi anni Trenta si manifestava con grande evidenza: gli scioperi, sia generali che di categoria, erano molto frequenti e duri. La lotta si andava radicalizzando sia per l'atteggiamento intransigente del padronato sia per la dimensione e lo spirito dei sindacati operai. In Catalogna, la regione più moderna e sviluppata, la Confederacion Nacional del Trabajo (CNT), di tendenza anarcosindacalista risulta di gran lunga l'organizzazione maggioritaria nella primavera del 1936. Le aspettative e l'immaginario collettivo dei suoi militanti non si limitano alle rivendicazioni economiche, ma investono l'intera struttura sociale; anche le componenti della CNT più sensibili al riformismo ritengono naturale una mobilitazione rivoluzionaria per abbattere il sistema capitalista. Si tratta solo di scegliere il momento più favorevole per un'insurrezione proletaria e per l'instaurazione del "comunismo libertario", un modello di società funzionante sulla base delle strutture sindacali e orientato da principi federalisti, egualitari, autogestionari.
Anche nell'altro sindacato, la Union General de Trabajadores (UGT), legato al Partito Socialista, la componente rivoluzionaria prevale su quella moderata e risente spesso, ad esempio tra i braccianti, della concorrenza della CNT e quindi intensifica le agitazioni e propone obbiettivi di profonda trasformazione economico-sociale. Gli affiliati ai due sindacati raggiungono, nei primi mesi del 1934, il ragguardevole numero di tre milioni, più di un terzo dell'intera forza lavorativa del paese, sia stabile che precaria. Ogni cambiamento, anche quelli auspicati dai piccoli partiti repubblicani e di sinistra, deve ottenere l'appoggio di queste formazioni per avere qualche speranza di successo.
Mentre la situazione dei movimenti operai è molto negativa in buona parte dell'Europa, in particolare dopo il successo del nazismo in Germania, in Spagna l'entusiasmo e l'orgoglio delle forze popolari spingono a ritenere possibile, anzi probabile, uno sbocco di tipo rivoluzionario alla crisi complessiva del sistema produttivo e politico. Il pericolo dell'avvento di forme di potere simili a quelle del fascismo europeo, non smorza le speranze e le aspettative del movimento operaio, anzi lo sprona ad intensificare gli sforzi e ad elevare il livello di scontro: nell'ottobre del 1934, la rivolta (temporaneamente vittoriosa) dei minatori nelle Asturie fa parte della risposta di classe all'ingresso di esponenti parafascisti nel governo dei repubblicani destra. Analogamente la CNT, con il sostegno dell'organizzazione anarchica specifica, la Federacion Anarquista Iberica (FAI), proclama con forza: "Contra el fascismo, Revolucion Social!".
2. Il Fronte Popolare
Nasce alla fine del 1935 una nuova alleanza politica ed elettorale che raggruppa i partiti del centro e della sinistra parlamentare, sia moderata che estremista (vi aderisce il POUM). Il Fronte Popolare stringe contatti e collaborazioni varie, talora anche con degli anarcosindacalisti e degli anarchici.
Il Fronte Popolare spagnolo risente dell'analoga esperienza francese (che si afferma in seguito alle agitazioni operaie e alle elezioni della primavera del 1936) e, naturalmente, è influenzato dalla svolta della Terza Internazionale Comunista controllata dal PCUS stalinista. Il suo segretario, il bulgaro Dimitrov, fedele strumento di Stalin, lancia la nuova linea che prevede una alleanza con i partiti borghesi progressisti e con i socialdemocratici in funzione antifascista e antinazista. Infatti, da poco più di un anno, Hitler aveva distrutto il forte Partito Comunista Tedesco, oltre a quello socialdemocratico e a tutti gli altri oppositori, e il suo governo dalle mire espansioniste era stato individuato come il nemico più pericoloso dal governo di Mosca. In pratica, la svolta del 1934 era causata dalla necessità di difendere sul piano politico, diplomatico e soprattutto militare l'Unione Sovietica.
Nella Spagna degli inizi del 1936 il Fronte Popolare si propone di rovesciare il governo di centro-destra che, dopo aver ottenuto un successo nelle elezioni politiche del novembre del 1933 (in seguito all'astensione delle masse rurali dopo le repressioni subite ad opera del governo "progressista"), aveva attaccato le già timide riforme del primo biennio repubblicano. Le dirigenze politiche laiche e di sinistra si erano impegnate, a partire dal 1931, ad affrontare, tra molte incertezze e compromessi, i temi centrali della società spagnola: l'autonomia della Catalogna, la riforma agraria, la separazione fra Stato e Chiesa cattolica, il controllo politico delle forze armate. Inoltre il fallimento dell'insurrezione antifascista dell'ottobre del 1934 aveva portato a brutali misure poliziesche contro la base operaia e contadina (molte centinaia di fucilati dall'esercito) e, inevitabilmente, anche contro una parte dei vertici politici di sinistra (decine di arresti).
La grande promessa che permette al Fronte Popolare di vincere le elezioni del febbraio '36 è l'immediata liberazione delle decine di migliaia di detenuti, tra i quali molti anarchici condannati per i fatti dell'ottobre 1934. Questa esigenza di ridare la libertà ai presos politici fa sì che una parte degli ambienti libertari abbandoni di fatto il tradizionale astensionismo per votare i candidati di sinistra, anche se né la CNT, né tantomeno la FAI fanno pubbliche dichiarazioni in tal senso. Tale partecipazione permette al Fronte Popolare di vincere le elezioni parlamentari del febbraio '36, sia pure di misura e, in base al sistema maggioritario, di dominare le Cortes. Molti prigionieri politici vengono liberati a furor di popolo; è un fatto emblematico della situazione reale dei rapporti di forza nel paese, soprattutto nei centri urbani con notevole presenza operaia.
3. Il golpe del 18 luglio 1936
Nei pochi mesi prima del 18 luglio al governo del Fronte Popolare sfugge il controllo effettivo della società: nelle campagne del Sud i braccianti senza terra occupano le proprietà dei latifondisti, nelle città più importanti (Madrid, Barcellona, Saragozza, Siviglia...) si susseguono lotte e scioperi violenti, squadre d'azione parafasciste si scontrano con gruppi armati di operai e militanti rivoluzionari, alti esponenti dell'esercito minacciano di intervenire autonomamente per "restaurare l'ordine", i vertici della gerarchia cattolica tuonano contro l'ateismo e il materialismo dilaganti...
Le tensioni si accumulano e si aggravano; in quasi tutto il territorio la posta in gioco appare di tipo complessivo e saltano le precarie mediazioni svolte dai pochi moderati fra la destra e le sinistre. Di fatto il governo del Fronte Popolare non riesce più a soddisfare le aspettative delle classi oppresse mentre i ceti privilegiati si rendono conto dei rischi di una rivoluzione proletaria profonda e sconvolgente. I margini di una fragile e indecisa democrazia, formalmente al potere, si vanno riducendo fino a scomparire del tutto nell'estate del 1936.
Già il 17 luglio i comandanti delle truppe di stanza in Marocco si sollevano contro il governo di Madrid che entra immediatamente in crisi. I quattro generali ribelli, tra i quali Franco appare allora il più vago e confuso, possono disporre dei reparti meglio armati e più professionali, quelli del Tercio e i Regulares, la Legione Straniera spagnola che, composta per lo più da marocchini, sarà paradossalmente la principale arma della "Cruzada" antisovversiva e cattolica.
L'obbiettivo politico del golpe non sembra molto definito, al di là della restaurazione dell'ordine gerarchico nel turbolento ambiente spagnolo; manca di certo un programma organico, anche se il modello si definirà nel corso della guerra civile prendendo a prestito alcune istituzioni (ad esempio il Fuero del Trabajo, simile alla Carta del Lavoro italiana) e simboli del fascismo italiano (il saluto romano) e inserendoli nell'esaltazione del mito della Spagna imperiale, coloniale, cattolica, unita e potente.
I militari si trovano di fronte ad una reazione debole delle istituzioni repubblicane (fatto previsto) insieme ad una diffusa mobilitazione delle forze sindacali, in primis la CNT (fatto imprevisto). A Barcellona, Madrid, Valenza, Bilbao e in altre città i reparti dei generali traditori sono sconfitti da una marea popolare che, quasi senz'armi, assalta le caserme e sconfigge in poche ore truppe addestrate e ben equipaggiate. Tra i soldati si verificano frequenti atti di insubordinazione agli ufficiali golpisti e ciò limita e talora blocca la macchina del pronunciamento. Ad esempio sulle navi i marinai alzano la bandiera rossa o rossonera ed eliminano gli ufficiali.
L'iniziativa dei generali trova successo nella Vecchia Castiglia, in quasi tutta la Galizia e nell'Andalusia (compresa Siviglia), nell'Aragona centrale (compresa Saragozza). In molti casi le ambiguità dei Governatori civili repubblicani hanno impedito agli antigolpisti di avere le armi per difendersi. In breve tempo i golpisti procedono a sanguinosi massacri di oppositori (anche presunti, in base all'appartenenza alle classi subordinate) e avanzano rapidamente dal Sud al Nord, grazie allo strategico aiuto dell'Italia fascista. Già nel luglio Mussolini dà ordine di effettuare un massiccio ponte aereo di truppe scelte dal Marocco all'Andalusia e poi decide si spedire il cosiddetto Corpo Truppe Volontarie che disporrà di moderni pezzi d'artiglieria e d'aviazione, di navi e sottomarini e di quasi 70.000 soldati. La Germania nazista userà la terra di Spagna come zona di sperimentazione della propria aviazione (a Guernica nei Paesi baschi nell'aprile 1937 si proveranno gli effetti di un attacco con bombe incendiarie su un centro abitato). L'Italia non è da meno con i frequenti bombardamenti a scopo terroristico di Barcellona che causano migliaia di morti fra i civili.
I golpisti sembrano trionfare nell'autunno del 1936 e annunciano la capitolazione di Madrid, ma nella capitale si organizza dal basso una resistenza animata dai civili politicizzati che si ritrovano in unità combattenti, omogenee politicamente e affini umanamente. Il governo intanto si trasferisce nella più sicura Valenza per ... difendere meglio la Repubblica. Nel novembre 1936 giungono alle porte di Madrid le Brigate Internazionali composte da migliaia di militanti accorsi da decine di paesi e comandati, in sostanza, dalla III Internazionale di osservanza moscovita. L'URSS aveva aspettato tre mesi prima di schierare uomini e mezzi, più o meno antiquati: l'urgenza e la gravità del momento favoriscono l'effetto propagandistico del suo aiuto "solidale". Una nave carica di 500 tonnellate d'oro della riserva della Banca di Spagna è la contropartita economica di questo atto di "internazionalismo proletario".
Alla fine di novembre sul fronte madrileno muore Buenaventura Durruti, il leggendario animatore della omonima colonna che raccoglie migliaia di combattenti anarchici, catalani e no, e che aveva sostenuto dal luglio '36 il fronte aragonese. Qui erano presenti le milizie libertarie che, senza gradi gerarchici e con una tenacia dalle radici ideali, cercavano di liberare Saragozza e Huesca: senza appoggio di aviazione, artiglieria e perfino con pochi fucili e munizioni, l'impresa risultò impossibile.
La decisione di Durruti di spostarsi a Madrid, obbedendo alle richieste governative, è il simbolo del prevalere, in molti casi, della logica istituzionale su quella rivoluzionaria; nella speranza di battere il fascismo si può giungere fino a rinviare i propri progetti di fondare una società liberata. "Portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori" aveva dichiarato Durruti, ma anche "rinunceremo a tutto fuorché alla vittoria".
4. La rivoluzione sociale
La risposta popolare al golpe reazionario aveva dimostrato, nell'estate del 1936, che la vera forza per la difesa e per lo sviluppo della libertà risiedeva nelle organizzazioni di base, nei sindacati della CNT ed, in parte, dell'UGT. L'aver battuto i militari sul loro terreno, in quei giorni di esaltazione, conferisce all'iniziativa dei lavoratori uno slancio che va ben al di là della "difesa della Repubblica". E' venuto il momento, anche se la scelta dei tempi è stata provocata dal pronunciamento, di mettere in pratica il progetto di società libertaria ed ugualitaria, è l'ora del "comunismo libertario", già scelto come modello, originale ed aperto, dal congresso della CNT di Saragozza del maggio 1936.
La fuga dei padroni, quasi sempre compromessi con i militari, rappresenta una condizione favorevole per collettivizzare le fabbriche, in particolare la regione catalana, la più sviluppata economicamente e dove la CNT è ampiamente maggioritaria.
In centinaia di imprese i lavoratori riuniti in assemblea decidono di gestire in proprio la produzione e nominano un Comité composto da delegati di operai, impiegati e tecnici per la consueta amministrazione. Sorgono subito numerosi problemi: i tecnici, gli esperti del processo produttivo, sono solo in parte disponibili a collaborare con la collettivizzazione e, in genere, chiedono un miglior trattamento salariale; talora bisogna cambiare completamente il tipo di produzione, spesso per renderlo funzionale alle pesanti esigenze belliche; l'approvvigionamento delle materie prime e la distribuzione dei prodotti lavorati devono essere ripensati e reinventati; le istituzioni repubblicane, sia centrali che regionali (la Generalitat) dopo una prima fase di impotenza vogliono riprendere le tradizionali funzioni autoritarie, sia politiche che fiscali. Malgrado i molteplici condizionamenti e i sempre più frequenti interventi del potere politico, l'esperienza resiste e continua, pur con alcuni cedimenti anti-egualitari. Nel complesso, come dimostrano anche recenti ricerche, l'autogestione operaia messa alla prova si rivela più giusta, oltre che più efficiente, della gestione gerarchica tradizionale.
Nelle campagne povere e aride dell'Aragona e in quelle fertili e ricche del Levante, l'urgenza di non perdere i raccolti estivi spinge decine di migliaia di braccianti e di piccoli contadini a condurre in proprio le operazioni finali del ciclo agrario. Già in passato l'inutilità, anzi la dannosità, dei padroni (per lo più assenteisti) aveva favorito l'idea di una gestione collettiva della terra come una via d'uscita dalla miseria e dalle ingiustizie. Nella società rurale spagnola vi era inoltre una tradizione plurisecolare di proprietà comunitaria degli abitanti del villaggio sostanzialmente solidali e abituati al mutuo appoggio. Le classi privilegiate risiedevano nelle città lontane e la loro natura parassitaria era sotto gli occhi di tutti: dai lavoratori stagionali agli artigiani, dalle donne oberate di impegni produttivi e familiari ai vecchi inabili, ma dotati di memoria storica e depositari di saggezza. le assemblee dei pueblos (villaggi) si pongono spesso, almeno fino all'estate del 1937, come momenti di riflessione e di decisione che riguardano non solo la questione della continuità delle colture, ma anche la possibilità di innovazioni tecnologiche per ridurre l'enorme fatica umana.
Il rifornimento alimentare dei combattenti, oltre che delle grandi città, è all'ordine del giorno nelle frequenti riunioni mentre nelle zone ad agricoltura moderna e specializzata, come nel territorio intorno a Valenza, si cerca di riprendere l'esportazione delle produzioni specializzate (ad esempio di agrumi). La vicinanza dei fronti, con i pericoli connessi, riduce in molti casi la durata dell'esperienza autogestionaria che registra comunque dei notevoli risultati: l'abolizione del denaro, fonte di speculazioni e di diseguaglianze, rappresenta in molte comunità rurali un obbiettivo rivoluzionario conseguito con determinazione ed orgoglio.
La Rivoluzione Sociale non è solamente un fatto economico, ma coinvolge logicamente molti aspetti della vita collettiva. La quasi scomparsa delle istituzioni clericali ha annullato il condizionamento ideologico e pratico esercitato su ampi settori della società spagnola. La mancanza del ricatto psicologico, che i preti realizzavano da lungo tempo, contribuisce alla liberazione del mondo femminile, sollecitato d'altra parte dalla moltiplicazione delle occasioni d'incontro e di socializzazione che, nei centri urbani come nei villaggi, vengono proposte da gruppi di donne sia antifasciste che libertarie. L'attività intensa e pionieristica delle Mujeres Libres, organizzazione femminile e femminista, riesce a scuotere, tra difficoltà e incomprensioni anche nel movimento libertario, certi pilastri della secolare subordinazione della donna imposta nella Spagna dal cattolicesimo e dal diffuso maschilismo.
5. Il maggio del 1937
In nome della "collaborazione antifascista" la CNT-FAI (le due sigle appaiono quasi sempre assieme dopo il luglio 1936) aveva accantonato la radicale opposizione a qualsiasi Stato o governo. Se gli anarchici especificos della FAI avevano promosso dei moti insurrezionali contro lo Stato repubblicano, nell'agosto del 1932 gli anarcosindacalisti andalusi avevano indetto uno sciopero generale a Siviglia per bloccare il tentativo di golpe monarchico del generale Sanjuro, il capo della temibile Guardia Civil. Nei primi anni Trenta si era verificata quindi un'alternanza di lotte frontali e di occasionali alleanze fra il potente movimento libertario e i partiti repubblicani.
Nel settembre 1936 la CNT e la FAI entrano a far parte della Generalitat, il governo autonomo catalano; alla fine del luglio essi ne avevano tollerato l'esistenza decidendo di non scioglierlo per motivi d'opportunità politica nei confronti del resto della Spagna e degli stati democratici europei. Nell'autunno del 1936, pur avendone ancora le possibilità, gli anarchici si orientano a non abolire le istituzioni tradizionali. Essi pensano di poterle usare, per lo meno per superare i già provati boicottaggi burocratici che hanno indebolito la lotta armata sostenuta al fronte dalle proprie milizie e che hanno limitato la sperimentazione economica e sociale in atto nelle collettività. Con il passare dei mesi si dileguano però le speranze di una rapida vittoria sui generali reazionari; essa era sembrata a portata di mano nelle prime settimane, quando il pronunciamento risultava sconfitto su due terzi del territorio spagnolo e buona parte delle truppe più addestrate erano bloccate in Marocco. In quel frangente un miglior coordinamento fra rivoluzionari e repubblicani avrebbe potuto conseguire risultati decisivi sul piano militare.
Nell'autunno del 1936, mentre i golpisti sono alle porte di Madrid, la FAI-CNT accetta di partecipare anche al governo nazionale con quattro ministri: per la prima volta uomini d'azione come Juan Garcia Oliver o propagandiste acratas come Federica Montseny, militanti da sempre estranei e contrari agli apparati statali e ai cedimenti compromissori entrano a far parte di logiche politiche fino ad allora disprezzate e combattute. La contraddizione evidente tra teoria antistatalista e prassi governativa viene giustificata con l'eccezionalità delle circostanze della guerra civile.
Intanto i partiti repubblicani, con l'aiuto determinante del PCE e del PSUC catalano egemonizzato dai comunisti stalinisti, hanno ricostruito gli apparati ministeriali collocandovi i propri elementi di fiducia e proponendosi, in tempi brevi, di eliminare gli scomodi alleati rivoluzionari (oltre alla CNT-FAI, la tendenza classista del PSOE e il piccolo POUM composto da comunisti eterodossi). La collisione, già annunciata da scontri di entità circoscritta nei primi mesi del 1937, porta infine alla tragica settimana barcellonese del 3-8 maggio.
L'occasione è fornita dalla Centrale Telefonica di Barcellona, impresa già a capitale statunitense occupata durante l'epopea del 19 luglio dagli operai e gestita da un Comitè con la partecipazione dei delegati della CNT e, in minoranza, dell'UGT. La Centrale Telefonica è un esempio concreto della forza e del ruolo degli anarchici nella capitale catalana; è un punto strategico anche per le comunicazioni fra il governo centrale e quello locale, fra i vertici politici di Valenza e di Barcellona; è un luogo dove un semplice telefonista può interloquire con gli alti esponenti istituzionali e condizionarne l'attività.
L'assalto del 3 maggio alla Telefonica è guidato da un ufficiale di polizia noto come stalinista. Gli operai della Centrale non cedono e rispondono al fuoco. In poche ore nei quartieri popolari sorgono numerose barricate come il 19 luglio: il popolo libertario e rivoluzionario non è rassegnato a subire una nuova oppressione e riprende l'iniziativa. La situazione è gravissima perché una guerra civile all'interno della guerra civile significherebbe lo sfaldamento del fronte repubblicano. Reparti anarchici e del POUM minacciano di abbandonare il fronte aragonese e di rispondere con le armi alla provocazione stalinista.
Non lo faranno solo per l'intervento di "militanti influenti" della CNT-FAI che riesce a fermare la mobilitazione libertaria e a ricomporre una parvenza d'unità in nome della lotta al fascismo; le barricate sono smantellate e i Comitè de Defensa dei vari quartieri si sciolgono tra proteste e delusioni dei militanti di base.
Intanto le sparatorie e gli agguati hanno portato a quasi 500 morti, in maggioranza libertari (tra i quali Camillo Berneri). La conclusione reale, al di là degli accordi di facciata, è un brusco ridimensionamento del peso degli anarchici e l'eliminazione del POUM, accusato di essere alleato dei franchisti e di avere la responsabilità degli scontri. Il suo segretario Andres Nin sparisce dopo l'arresto e le torture messe in atto da un commando di agenti stalinisti; i membri del Comitato Centrale vengono processati come traditori, ma le proteste di una parte dei repubblicani riescono a salvarli.
La coincidenza temporale del mayo sangriento con le purghe che nell'URSS investono molti bolscevichi della prima ora è tutt'altro che casuale: Stalin vuole distruggere alle radici ogni possibile esempio o progetto di rivoluzione che sfugga al suo controllo. La rivoluzione libertaria in atto in Spagna è in effetti una pericolosa alternativa al suo modello di socialismo di Stato soffocato da burocrati, poliziotti, gerarchi militari; è negli interessi dell'Unione Sovietica ricondurre, anche con la violenza e la calunnia, i movimenti operai all'interno della disciplinata Internazionale Comunista.
6. La sconfitta dei repubblicani
Dopo il maggio barcellonese viene accantonata ogni possibilità di realizzare quei cambiamenti sociali per i quali avevano combattuto dal luglio 1936 milioni di proletari. Un'ulteriore tappa della restaurazione dell'ordine statale centralizzato sarà, nell'agosto del 1937, lo scioglimento delle collettività rurali aragonesi ad opera della divisione comunista di Enrique Lister, divisione che per compiere questo "lavoro di polizia" abbandona il fronte.
In definitiva la guerra si sta riducendo ad una logorante sequela di battaglie che, per dimensioni e modalità, riproducono le tattiche della Prima Guerra Mondiale nella quale la Spagna era rimasta neutrale. Le grandi battaglie di Brunete e Belchite e dell'Ebro sono vani tentativi dell'esercito repubblicano di riconquistare parte dei territori che l'esercito franchista aveva occupato. Nel confronto vengono usate enormi quantità di mezzi corazzati, di artiglieria e masse di fanti sono gettate nella mischia secondo le decisioni degli alti comandi e delle dirigenze politiche.
In questo ambito è facile prevedere che, prima o poi, prevalgano i "nazionali" sui "rossi": con i primi stanno le potenze naziste e fasciste, i capitali internazionali, i gruppi privilegiati di sempre (in testa la chiesa cattolica) che riescono a condizionare anche la situazione internazionale; tra i secondi, attraverso l'imposizione dei gradi e della disciplina gerarchica si è erosa una parte cospicua dell'entusiasmo popolare per sostituirlo con la rassegnazione e l'obbedienza passiva.
Sul piano internazionale la farsa del Comitato di Non Intervento, voluto dal governo inglese e accettato anche dal Fronte Popolare francese, aveva già favorito nettamente le potenze dell'Asse nel loro sostegno militare e diplomatico ai generali golpisti. A questo livello gli interessi del capitalismo occidentale, sia quello dei paesi democratici sia quello degli stati fascisti, coincidevano con quelli dell'Internazionale Comunista nel voler soffocare il movimento rivoluzionario spagnolo e le sue realizzazioni economiche e sociali.
Franco realizza le sue conquiste a tappe: i Paesi Baschi (giugno 1937), l'Aragona (aprile 1938), la Cantabria (agosto 1938). Anche la Catalogna, baluardo dell'antifascismo rivoluzionario, cade - quasi senza combattere - nel gennaio del 1939. La sconfitta è ormai solo questione di tempo e ciò scatena quella lotta intestina già esplosa a Barcellona nella primavera del 1937; ma in questi frangenti i comunisti, che nella loro corsa al potere si erano creati molti nemici anche fra partiti repubblicani, vengono isolati e neutralizzati. Juan Negrin, un socialista filocomunista che era andato al governo dopo il maggio 1937 riducendo drasticamente la presenza della CNT-FAI a livello istituzionale, deve dimettersi.
Alcuni militari di professione fedeli alla repubblica, dopo una serie di scontri armati con reparti comunisti, nominano uno di loro capo del governo nell'illusione di poter trattare con Franco la resa a certe condizioni, cosa che il Caudillo si guarda bene dal concedere.
Il 1° aprile 1939 termina ufficialmente la guerra civile con un terribile bilancio di morti (600-800.000 secondo le varie stime), di mutilati (più di un milione), di esiliati (quasi un milione). Il volto della Spagna è ormai deturpato irrimediabilmente: l'economia è distrutta, la società è violentata, gli spagnoli, quasi tutti, sono disperati.
Inizia la lunga e terribile serie di limpieza (pulizia): fino al 1945 continuano le fucilazioni di circa 100.000 oppositori, le carceri sono piene di individui sospettati, la chiesa cattolica riprende la sua funzione di sorveglianza sul popolo e di fiancheggiamento dei potenti.
Un tetro ordine regna ormai sulla penisola iberica.
Centro Studi Libertari di Trieste
La Sinistra Comunista e la Guerra di Spagna
Nel panorama editoriale riguardante la guerra di Spagna esistono testi di varie tendenze: dall'antifascismo generico - la difesa della repubblica - a quello più radicale, all'esaltazione delle milizie anarchiche con tutte le loro differenziazioni, gli estremisti, i giustificazionisti per la partecipazione della CNT alle attività governative, la descrizione delle autogestioni e delle "collettivizzazioni", fino ai critici dell'autogestione.
In genere, però, non si può non constatare l'assenza di testi di e su una corrente che si è distinta per originalità e per la sua capacità di navigare controcorrente e che in seguito a questa prova sarà l'unica ad analizzare e ad agire correttamente nella resistenza antifascista in Italia e in Francia. Ci riferiamo alla Sinistra Comunista, a quella che corrente che viene definita "bordighista" dal nome di Amadeo Bordiga fondatore e dirigente del PCd'I poi estromesso dal partito ormai stalinizzato.
Le case editrici, anche quelle dette militanti, hanno accuratamente taciuto questa esperienza, ed in Italia i primi a pubblicare una serie di testi della Sinistra Comunista è stata la Rivista Internazionale organo teorico in lingua italiana della Corrente Comunista Internazionale nel suo n.1 del 1976, dopo un'analoga iniziativa in lingua francese sulIa Revue Internationale della stessa CCI. Finalmente nel 1979 in Francia esce un testo curato da Jean Barrot, Bilan - Contre-révolution en Espagne, un'importante raccolta ragionata dei testi della Sinistra Comunista, recentemente, a cura del Centro Pietro Tresso, è comparso un opuscolo tal titolo I bordighisti nella guerra civile spagnola scritto dallo spagnolo Iborra, che ha il difetto di non presentare un'appendice con i testi originali. Testi della Sinistra Comunista sono stati riportati nella stampa detta "bordighista" come ad esempio "Il Partito Comunista", ma la difficoltà sta nel reperirli visto che sono dispersi in tanti numeri in tanti anni.
Se qui vogliamo ripresentare le posizioni della Sinistra Comunista, non è per spirito polemico, cosa che sarebbe fuori posto in un'iniziativa di un Centro di Documentazione e di un Archivio Storico, ma perché si vuole che i compagni riflettano su certe posizioni che oggi come allora possono sembrare provocatorie.
I "bordighisti" si erano costituiti in Frazione di Sinistra del PCd'I (noi chiameremo la Frazione indifferentemente Sinistra Comunista come si sarebbe chiamata successivamente), in Francia nel 1928 e in breve tempo erano divenuti un punto di riferimento delle minoranze rivoluzionarie in tutto il mondo financo in Messico con il Gruppo dei Lavoratori marxisti. Nel 1928 inizia a uscire in lingua italiana a Bruxelles la rivista Prometeo e dal 1933 in Francia, in lingua francese, la rivista Bilan che vuole essere un bilancio e un esame critico del fallimento della rivoluzione in Occidente e del riaccartocciarsi su se stessa della rivoluzione russa.
E' proprio la rivista Bilan che si occupa degli avvenimenti spagnoli con maggiore intensità. I punti caratterizzati di Bilan sui fatti di Spagna sono:
1) in Spagna manca un partito di classe in quanto la pur generosa lotta degli operai spagnoli negli anni precedenti non aveva fatto prodotto un simile organismo che in ogni caso non poteva che essere la sezione territoriale di un partito rivoluzionario mondiale;
2) in Spagna i compiti della rivoluzione democratica-borghese erano già assolti, l'unica rivoluzione possibile è la rivoluzione comunista;
3) le parole d'ordine democratiche vengono denunciate come parole d'ordine favorevoli alla borghesia; di qui la diversità di vedute con Trockij e col POUM;
4) l'antifascismo è una formula borghese che serve per sviare il proletariato dai suoi compiti comunisti. (vedi gli articoli di Bilan dal 1933).
Allo scoppio del sollevamento militare di Franco in Spagna, la Frazione prende decisamente le parti degli operai che si sollevano sia contro i militari che contro il governo del Fronte Popolare. Ma il problema stava altrove, il periodo era definito di aperto ciclo controrivoluzionario e, parafrasando Marx, la rivoluzione non poteva avere luogo che una volta compiuta la controrivoluzione. In Spagna non esiste situazione rivoluzionaria, manca il partito di classe, ma, attenzione, Bilan non afferma che la situazione è controrivoluzionaria perché manca il partito di classe - visione sottoleninista - ma la mancanza del partito di classe, nonostante il coraggio e la combattività operaia, è dovuta alla situazione controivoluzionaria che può essere rovesciata solo a livello internazionale.
Per Bilan la guerra in terra di Spagna è confronto fra le borghesie imperialistiche mascherato da confronto fascismo-antifascismo a cui si sarebbe opposta la mistificazione della dialettica rivoluzione-controrivoluzione intendendo con il primo termine le collettivizzazioni.. Il Fronte antifascista in Spagna ha consolidato dei Fronti antifascisti in Francia e in Belgio, certamente strumenti del capitale nazionale ma con un occhio rivolto all'URSS nella contesa con la Gran Bretagna. L'URSS appoggia in armi la Spagna repubblicana dietro il compenso dell'oro della Banca di Spagna e al tempo stesso vende petrolio all'Italia che interviene militarmente con i franchisti, Londra fornisce capitali a Negrin e a Franco: la Spagna è un ottimo mercato. Per la Germania il problema immediato non è vincere la guerra con l'appoggio a Franco, ma, come afferma Hitler, farla durare più a lungo possibie per accentuare le sue pressioni su Chamberlain e la Gran Bretagna. Questa è la tesi di Bilan epressa sul n° 44 dell'ottobre 1937 (riportata nel testo di Barrot già citato). Dunque il problema non è quello di non porsi o porsi, sia pure in maniera critica, dalla parte del Fronte Popolare partecipando alla guerra di posizione contro Franco, ma nei ristretti limiti del possibile intervenire in maniera internazionalista favorendo, dove possibile, l'enuclearsi di gruppi su posizioni di classe per il disfattismo rivoluzionario, per la trasformazione di una guerra fra i fronti in un guerra civile rivoluzionaria ma soprattutto, dato il periodo di depressione proletaria, fornire dei puntelli teorici necessari per favorire successivamente la massima chiarificazione fra le avanguardie.
Per Bilan i fronti territoriali si oppongono alla guerra di classe. E la guerra di classe comincia non con le collettivizzazioni perfettamente conciliabili e funzionali alla guerra imperialista in atto, ma con l'iniziare a rivendicare, da parte degli operai, migliori condizioni di vita. Esattamente contrario il modo di vedere degli anarchici che il 10 agosto 1936 durante un comizio a Barcellona dichiarano che: "Non è questo il momento di di andare a chiedere settimane di 40 ore e aumenti del 15%. No. Se per sconfiggere il fascismo è necessario lavorare di più di quanto si lavori adessso, ebbene, lavoreremo" (intervento di Vazquez). "Saremo leali al patto stipulato con gli altri settori antifascisti, però chiediamo altrettanta lealtà" (intervento di F. Montseny) (citati in Peirats, La CNT nella rivoluzione spagnola, pp.255,256) Durruti non è da meno e poco prima di morire dichiara: "Un solo pensiero, un solo obiettivo: schiacciare il fascismo. Che nessuno si sogni di presentare aumenti salariali o riduzioni di ore lavorative ... sacrificarsi, sacrificarsi, lavorare quanto è necessario ... occorre formare un blocco granitico: E' venuto il momento di invitare le organizzazioni sindacali a finirla una volta per tutte. Nelle retroguardie occorre sapere amministrare. ...Non provochiamo con la nostra incompetenza, dopo questa guerra, un'altra guerra civile fra noi. Di fronte alla tirannide fascista dobbiamo opporre una sola forza; non deve esistere che una sola organizzazione con una disciplina unica" (da "La révolution prolétarienne" n.236 del 10/12/1936, ora in Jean Barrot, op. cit.).
Per quanto riguarda gli avvenimenti specifici, al momento immediatamente successivo al pronunciamento di Franco, gli operai scendono in sciopero armati e Bilan riconosce che all'inizio gli operai si muovono autonomamente incamminandosi verso un intenso riarmo politico prima di essere inghiottiti nella difesa del Fronte Popolare sotto la direzione degli anarchici. Di fatto oggi sappiamo che il 16 luglio 1936, di fronte alle notizie su un imminente colpo di stato militare, Luis Companys, della sinistra catalana, chiede aiuto - a difesa della democrazia - agli anarchici i quali accorrono formando un Comitato di Collegamento con con la Generalità composto dai futuri anarchici governativi Santillan e Garcia con il radicale Ascaso per la FAI e Durruti per la CNT. A questo comitato il presidente Companys rifiuta le armi: per Durruti e gli altri anarchici questo diniego sembra ragionevole (Semprun Maura, Rivoluzione e Controrivoluzione in Catalogna pp.22,23), non per gli operai che le armi se le conquistano sul campo, entrano in sciopero su rivendicazioni di classe e si scontrano con la polizia del Fronte Popolare oltre che con i golpisti. A Barcellona Garcia Oliver e Durruti impediscono gli scontri tra polizia e operai e convincono questi ultimi a riconsegnare le armi di cui si erano impossessati. A Valencia un sedicente Comitato di Sciopero (non espressione della volontà operaia, ma costituito da accordi di vertice tra i sindacati) il 27 luglio ordina la ripresa del lavoro, gli operai non l'accettano e questo Comitato di sciopero deve adeguarsi: ci riuscirà solo dopo avere logorato gli operai con la campagna antifascista (Broué-Temime, La rivoluzione e la guerra di Spagna, p.143).
Per quanto riguarda le socializzazioni o collettivizzazioni, la Sinistra Comunista (Bilan n° 34 ago-sett. 1936, in Barrot, op. cit.) sostiene che la "socializzazione di un'impresa, lasciando intatto l'apparato statale, è un anello che blocca il proletariato dietro il suo nemico sia sul fronte interno che sul fronte imperialista dell'antagonismo fascismo-antifascismo, mentre la dichiarazione di una sciopero per la più piccola rivendicazione di classe (anche in un'industria "socializzata") è un anello che può condurre alla difesa e alla vittoria del proletariato". E' questa la tesi rivoluzionaria di sempre che il problema, per il proletariato, non è prendere la fabbrica o i campi e gestirli, ma prendere il potere distruggendo lo stato borghese.
La Sinistra Comunista nega che gli organismi delle "collettività" fossero organismi proletari: in effetti i vari comitati sono l'espressione di accordi sindacali di bassa lega, non si tratta pertanto di organismi secreti dalla attività autonoma della classe operaia, ma di organismi la cui composizioni viene decisa in base al numero di iscritti a questo o a quel sindacato. I comitati, come il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste o il Consiglio dell'Economia, lungi dall'essere organismi simili ai soviet, sono organismi dello stato capitalista, ad esempio il Comitato di controllo delle Asturie è designato dal sindacato e solo chi è iscritto alla CNT o alla UGT può partecipare a questo organismo.
Al di là del fatto che i lavoratori si trovino a lavorare in aziende collettivizzate, il fine è la produzione per la guerra che per la Sinistra Comunista è imperialista e scontro fra frazioni della borghesia nazionale e internazionale; né d'altra parte si può negare che il capitalismo stresso spinge alla collettivizzazione e alla massima socializzazione; non diceva forse Marx che il capitale sopprime, sia pure in maniera contraddittoria, la proprietà privata? Non per questo la Sinistra Comunista rifiuta di rendere omaggio alle vittime dello stalinismo come Berneri, Barbieri e Andres Nin, ma non lesina le critiche, né evita di mettere in mostra gli errori nei quali sono caduti: è questo il modo migliore per ricordarli.
A questo punto per la Sinistra Comunista si pone la necessità di una verifica internazionale, tanto più urgente quanto più ha visto una scissione della minoranza che abbandona l'organizzazione per raggiungere il POUM. Fra parentesi ricordiamo che la minoranza non giudica il POUM un partito rivoluzionario, ma ritiene che in questo partito ci possano essere elementi che possano transcrescere sulla via della rivoluzione, visto - qui sta l'errore -che la situazione sarebbe rivoluzionaria. La minoranza della Sinistra Comunista rivendica la proletariato la direzione nella lotta contro Franco. Non è però precisa nel determinare gli organismi nazionali ed internazionali che divrebbero dirigere questa lotta. Per la maggioranza si tratta di individuare delle organizzazioni politiche internazionali con cui instaurare un dibattito. Solo nella Ligue Communiste Internationaliste del Belgio si trova un referente con cui iniziare un dibattito e difatti in questa organizzazione si provoca una scissione, una minoranza si riconosce nella concezione della Sinistra italiana per formare una organizzazione internazionale. Non si può tacere il GIK olandese, i consiliari, che ha un approccio simile a quello dei "bordighisti", ma l'orrore che i consiliari hanno per la forma partito li tiene prigionieri impedendo loro una crescita politica che senz'altro sarebbe stata foriera di nuovi orizzonti per il proletariato internazionale. Con i trockisti il problema non si pone per il diverso modo di intendere la ricostituzione del partito di classe, ma soprattutto, nel caso spagnolo, perché il trockismo considera progressiva e dunque compito del proletariato la difesa della democrazia. D'altra parte l'Opposizione Internazionale di Sinistra aveva già rotto unilateralmente con la Frazione agli inzi degli anni '30. Trockij stesso sarà definitto un "grande rinnegato dalle piume di pavone" per la sua difesa della Cina nella guerra cino-giapponese.
Solo su questa base la sinistra Comunista saprà mantenere un atteggiamento coerente durante la Resistenza senza cadere nella trappola dell'antifascismo e del partigianesimo e potrà essere punto di riferimento per le future avanguardie.
Mauro Guatelli
Un po' più di una bibliografia essenziale
Posto che una bibliografia sugli avvenimenti di Spagna '36, con un minimo di completezza, occuperebbe centinaia di pagine, dichiariamo subito i limiti di questo tentativo:
a) In primo luogo non ci sono opere che non siano state scritte o tradotte in italiano, salvo che in quei casi dove l'importanza del testo imponga una deroga (vedi Borkenau).
b) Non sono citati articoli di riviste che, specialmente nella pubblicistica di parte anarchica e libertaria, sicuramente a spanne superano il migliaio, tranne, anche in questo caso, non rivestano una specifica importanza.
c) Sono limitate al minimo le segnalazioni di opere di carattere generale sulla Spagna e così pure quelle su apetti particolari o che tocchino solo tangenzialmente gli avvenimenti '36-'39.
Tuttavia, al di là di questi limiti dichiarati e di altri che non è difficile scorgere, riteniamo che la bibliografia che segue possa avere una sua utilità e che rappresenti un po' più di una bibliografia essenziale per chi per la prima volta si dispone ad affrontare criticamente gli avvenimenti della guerra civile spagnola.
In ultimo è doverosa una precisazione sulla divisione per argomenti delle opere segnalate; essa è evidentemente grossolana e rispecchia una obbiettiva difficoltà di "classificazione" per molti testi, tuttavia può servire anche a rendere l'idea dell'interesse che le varie aree politico-culturali hanno avuto ed hanno tuttora verso quegli avvenimenti.
Le edizioni segnalate sono quelle che è stato possibile consultare o individuare, non è quindi da escludere che ve ne siano altre, più recenti, ancora in commercio.
Opere di carattere generale
Come si è anticipato le segnalazioni sono ridotte al minimo sufficiente a situare gli avvenimenti del '36-'39 nel contesto più generale della storia spagnola:
1) Brenan Gerald, Storia della Spagna (1874-1936), Ed. Einaudi, Torino 1970.
2) Carr Raymond, Storia della Spagna (1808-1939), Ed. Nuova Italia, Firenze 1966.
3) De Madariaga Salvador, Storia della Spagna, Bologna 1957.
La formazione del movimento operaio spagnolo
Dalla prima Internazionale in avanti:
1) Lorenzo Anselmo, Il proletariato militante, Ed. Anarchismo, Catania 1978.
Sul periodo della guerra civile
Questo è ovviamente il corpus più cospicuo di opere segnalate e comprende testi di varia provenienza politica, non però - in generale - di carattere "militante":
1) AA.VV., La guerra civile spagnola tra politica e letteratura, Shakespeare & C., Firenze 1995.
2) AA.VV., Spagna quando?, Il Ponte, Milano 1984.
3) AA.VV., Spagna 1936-1939 - Fotografie e informazioni di Guerra, Ed. Marsilio, Venezia 1976.
4) Bolloten Burnett, Il grande inganno, Ed. Volpe, Roma 1966.
5) Borkenau Franz, Spanish cockpit (in francese), Ed. Champ libre.
6) Brenan Georges, Le labyrinte espagnol, Ed. Champ libre.
7) Broué-Temine, La rivoluzione e la guerra di Spagna, Ed. Sugar, Milano 1962.
8) Caronna Mario, Le cause della guerra civile spagnola, Ed. ISEDI, Milano 1977.
9) Dellacasa Gianfranco, Rivoluzione e fronte popolare in Spagna '36/'39, Ed. Jaca Book, Milano 1973.
10) Garosci Aldo, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Milano 1959.
11) Gibson Ian, La morte di Lorca e la repressione nazionalista di Granada, Milano 1973.
12) Jackson Gabriel, La repubblica spagnola e la guerra civile, Ed. Il Saggiatore, Milano 1967.
13) Koestler Arthur, Dialogo con la morte, Ed. Bompiani, Milano 1947.
14) Matthews Herbert L., Esperienze della guerra di Spagna, Ed. Laterza, Bari 1948.
15) Ranzato Gabriele, La Guerra di Spagna, Ed.Giunti, Firenze 1955.
16) Ranzato Gabriele, Rivoluzione e guerra civile in Spagna, Ed. Loescher, Torino 1975.
17) Rosselli Carlo, Oggi in Spagna domani in Italia, Ed. Einuadi, Torino 1967.
18) Roux Georges, La guerra civile di Spagna, Firenze 1966.
19) Signorino Mario, Il massacro di Barcellona, Ed. Fabbri, Milano 1973.
20) Thomas Hugh, Storia della guerra civile spagnola, Ed. Einaudi, Torino 1963.
21) Tunon de Lara Manuel, Storia della repubblica e della guerra civile in Spagna, Editori Riuniti, Roma 1976.
22) Vilar Pierre, La Guerra di Spagna 1936-1939, Ed. Lucarini, Roma 1988.
Gli anarchici, la CNT, le collettivizzazioni, il punto di vista libertario
Si tratta di un altro corpus molto sostanzioso, che diverrebbe addirittura enorme se considerassimo articoli e saggi apparsi su riviste e giornali dell'area libertaria dal dopoguerra ad oggi:
1) Abel Paz, Durruti, cronaca della vita, Ed. La Salamandra, Milano 1980.
2) Anonimo, Protesta davanti ai libertari di ieri e di oggi sulle capitolazioni del 1937, Ed. Nautilus, Torino 1981.
3) Berneri Camillo, Guerra di classe in Spagna, Ed. RL, Pistoia 1971.
4) Enzensberger H.M., La breve estate dell'anarchia. Vita e morte di B.Durruti, Ed. Feltrinelli, Milano 1973.
5) Fabbri-De Santillan, Gli anarchici e la rivoluzione spagnuola, Ginevra 1938.
6) Garcia Felix, Collettività contadine e operaie durante la rivoluzione spagnola, Ed. Jaca Book, Milano 1980.
7) Gomez Casas J., Storia dell'anarcosindacalismo spagnolo, Ed. Jaca Book, Milano 1975.
8) Gonzales Ildefonso, Il movimento libertario spagnolo, Torino 1976.
9) Kaminski H.E., Quelli di Barcellona, Ed. Mondadori, Milano 1950.
10) Leval Gaston, Ne Franco ne Stalin, Ist. Ed. Ital., Milano 1952.
11) Madrid Santos F., Camillo Berneri, Pistoia 1985.
12) Mera Cipriano, Rivoluzione armata in Spagna, Ed. La Fiaccola, Ragusa 1978.
13) Nash Mary, Mujeres Libres - Donne Libere Spagna 1936-1939, Ed. La Fiaccola, Ragusa 1991.
14) Peirats Josè, La C.N.T. nella rivoluzione spagnola, Ed. Antistato, Milano 1977.
15) Peirats Josè, Breve storia del sindacalismo libertario spagnolo, Ed. RL, Genova 1962.
16) Richards Vernon, Insegnamenti della rivoluzione spagnola (1936-1939), Ed. Vallera, Pistoia 1974.
17) Semprun Maura Carlos, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Ed. Antistato, Milano 1976.
18) Tellez Antonio, Facerias: guerriglia urbana in Spagna, Ed. La Fiaccola, Ragusa 1984.
Il POUM, i trotzkisti e l'opposizione di sinistra
Si tratta evidentemente di un accostamento improprio che è dovuto esclusivamente al pegno che paghiamo ad una logica "bloccarda" e ipersemplificatrice del tipo: anarchici, frontisti e terzinternazionalisti, comunisti dissidenti. Confidiamo che i lettori più attenti - aiutati dal contributo bibliografico di M.G. che segue - sapranno discriminare opportunamente dando a Cesare quel che è di Cesare...:
1) 1931-1937 Rivoluzione e controrivoluzione in Spagna, Ed. Falce Martello, Milano 1995
2) Barrot Jean, Bilan, la contre-révolution en Espagne, Ed. UGE.
3) C.C.I., La sinistra comunista italiana (1927-1952) Cap.5-6, Ed. CCI, Napoli 1984.
4) C.C.I., Rivista Internazionale n.1 - Articoli di Bilan sulla Spagna, Ed. CCI, Napoli 1976.
5) Chazé, Chroniques de la révolution espagnole, Ed. Spartacus.
6) Gervasini Virginia, Gli insegnamenti della sconfitta della rivoluzione spagnola, Ed. C.S.P. Tresso, Foligno 1993.
7) Guillamon Iborra A., I bordighisti nella guerra civile spagnola, Ed. C.S.P. Tresso, Foligno 1993.
8) Jéhan, La guerre d'Espagne - in Invariance n.8, 1969.
9) Morrow Felix, L'opposizione di sinistra in Spagna, Ed. Samonà e Savelli, Roma 1970.
10) Nin Andres, Guerra e Rivoluzione in Spagna 1931/37, Ed. Feltrinelli, Milano 1974.
11) Trotzsky Lev, Scritti 1936-39 "Parte seconda: la rivoluzione spagnola", Ed. Einaudi, Torino 1962.
I comunisti e il punto di vista frontista
Scarna ma essenziale per l'indicazione di due studi seri (Cattel) e dei testi dei principali esecutori delle direttive staliniane:
1) Cattel David, I comunisti e la guerra civile spagnola, Ed. Feltrinelli, Milano 1962.
2) Cattel David, La diplomazia sovietica e la guerra civile spagnola, Ed. Feltrinelli, Milano 1963.
3) Togliatti Palmiro, Particolarità della rivoluzione spagnola - in Stato Operaio dell'ottobre 1936, Parigi 1936.
4) Vidali Vittorio, La caduta della repubblica, Ed. Vangelista, Milano 1979.
Sui volontari rossi italiani
Testi apologetici ma non privi di interesse, anche in rapporto al punto precedente:
1) Arbizzani L., Spagna e Italia una sola battaglia, Bologna 1966.
2) Attanasio S., Gli italiani e la guerra di Spagna, Roma 1956.
3) Longo Luigi, Le brigate internazionali in Spagna, Roma 1956.
4) Pacciardi Randolfo, Il battaglione Garibaldi, Lugano 1938.
5) Vidali Vittorio, Il Quinto Reggimento, Ed. La Pietra, Milano 1976.
Testimonianze
Da varie parti e punti d'osservazione:
1) AA.VV., Chi c'era racconta, Ed. ZIC, Milano 1995.
2) Calandrone Giacomo, La Spagna brucia (1938). Cronache garibaldine, Roma 1962.
3) Cantalupo Roberto, Fu la Spagna, Milano 1948.
4) Canoso M.F., Chiesa e imposture: memorie di un miliziano di Spagna, Bari 1945.
5) Ibarruri Dolores, Memoria di una rivoluzionaria, Roma 1963.
6) Koltsov Michail, Diario della guerra di Spagna, Ed. Schwarz, Milano 1961.
7) Minnig Albert, Diario di un volontario svizzero nella guerra di Spagna, Ed. La Baronata, Lugano 1986.
8) Nenni Pietro, Spagna, Ed. Sugar, Milano 1976.
9) Nitti Francesco F., Il maggiore è un rosso, Ed. Avanti, Milano 1953.
10) Orwell George, Omaggio alla Catalogna, Ed. Il Saggiatore, Milano 1964.
Opere di ispirazione letteraria
Alcune tra le molte:
1) Bernanos Georges, I grandi cimiteri sotto la luna, Ed. Mondadori, Milano 1992.
2) Hemingway Ernest, Per chi suona la campana, Ed. Mondadori, Milano 1954.
3) Hermanos Juan, Spagna clandestina, Ed. Feltrinelli, Milano 1955.
Dopo il '39
L'esilio o la guerriglia:
1) Semprùn Jorge, Autobiografia di Federico Sanchez, Ed. Sellerio, Palermo 1979.
2) Tellez Antonio, La guerriglia urbana in Spagna - Sabate, Ed. La Fiaccola, Ragusa 1972.
Sul franchismo
Un po' di storia dell'altra parte:
1) Artieri Giovanni, Quattro momenti di storia fascista, Napoli 1968
2) Gallo Max, Storia della Spagna franchista, Ed. Laterza, Bari 1972
Da parte fascista
Tra le apologie fasciste alcune opere di interesse:
1) Belforte Francesco, La guerra civile in Spagna, Varese 1938.
2) Bardèche - Brasillach, Storia della guerra di Spagna.
3) Castrillo Santos Juan, I distruttori della Spagna 1936-1939, Ed. Sonzogno, Milano 1937.
4) Ciarrapico Tullio, Spagna 1936, Ed. Ciarrapico, Roma 1976.
5) Enriquez Nello , La Spagna risorge, Milano 1937.
6) Solmi Arrigo, Lo Stato nuovo nella Spagna di Franco, Roma 1940.
7) Massis-Brasillach, La guerra civile in Spagna. Tra le rovine dell'Alcazar, Milano 1936.
8) Volta Sandro, Spagna a ferro e fuoco, Firenze 1937.
Sui volontari fascisti
Forse ce n'era qualcuno anche dall'altra parte:
1) AA.VV., Legionari di Roma in terra iberica, Milano 1940.
2) Coverdale John F., I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Ed. Laterza, Bari 1977.
3) Piazzoni S., Le Frecce Nere nella guerra di Spagna (1937-1939), Roma 1939.
Testimonianze fasciste
Non solo curiosità:
1) Bassi Maurizio, Da Cadice ai Pirenei. Taccuino di guerra di un legionario, Firenze 1940.
2) D'Arienzo Giulia, Madrid, mesi d'incubo, Milano 1937.
3) Faldella Emilio, Venti mesi di guerra in Spagna, Ed. Le Monnier, Firenze 1939.
4) Mortari Curio, Con gli insorti in Marocco e in Spagna, Ed. Treves, Milano 1937
5) Segalà R., Trincee di Spagna, Roma 1938
6) Sulliotti Italo, Europa, svegliati!, Milano 1938
G.B.
Contributo ad una bibliografia sulla guerra di Spagna
Sulle posizioni della Sinistra Comunista in italiano esistono poche pubblicazioni che provengono soprattutto dalle organizzazioni della Sinistra Comunista:
Rivista Internazionale n. 1 del 1976 (organo teorico della Corrente Comunista Internazionale): contiene una serie di articoli sulla Spagna tratti dalla rivista Bilan (organo della Frazione di sinistra del PC, detta "bordighista" poi, dal 1935, Frazione Italiana della Sinistra Comunista Internazionale) degli anni '30. La maggioranza in seno a Bilan denunciava la guerra di Spagna come guerra interimperialista per cui predicava la lotta di classe all'interno dei fronti militari, il disfattismo rivoluzionario, denunciando gli anarchici e il POUM come ala di sinistra del capitale ed organi di disorientamento teorico e organizzativo della classe operaia (non solo la Montseny, ma altresì gli "irriducibili" alla Durruti, in effetti cauzione di sinistra degli anarco-governativi). La minoranza considera che nel POUM - pur considerato partito opportunista - ci siano elementi sinceramente proletari verso cui sarebbe stato possibile effettuare un lavoro rivoluzionario. La minoranza esce dalla Frazione Italiana e raggiunge il POUM assieme ad elementi dell'Union Communiste di Chazé, perdendosi nella confusione e nell'opportunismo. La maggioranza di Bilan si troverà insieme alla minoranza della Ligue Communiste Internationaliste belga (gruppo para-consiliare) con cui aveva iniziato da tempo un dibattito per formare la Sinistra Comunista Internazionale.
Jean Barrot: Bilan, la contre-révolution en Espagne 1936-1939, ed UGE . Si tratta di un testo sfortunatamente esistente solo in francese che riporta molti articoli di Bilan sulla guerra di Spagna e una lunga introduzione esplicativa. Barrot difende le posizioni di Bilan. In nostro possesso abbiamo una sintesi manoscritta in italiano.
Il Partito Comunista (organo de Il Partito Comunista Internazionale) e Comunismo (organo teorico della stessa organizzazione). Hanno riportato in molti numeri articoli degli anni '30 di Bilan e di Prometeo - organo della Sinistra Comunista in lingua italiana - edito in Belgio.
La Sinistra Comunista Italiana è un testo della Corrente Comunista Italiana che contiene un importante capitolo sul dibattito interno ed esterno (polemica con Trockij) sugli avvenimenti spagnoli.
Nelle rivista Invariance n° 8 del 1969 c'è un importante articolo di Jéhan, La guerre d'Espagne scritto dopo un suo viaggio nella Spagna in guerra comparso per la prima volta in Francia nella rivista Entre-deux-mondes nel dopoguerra. E' sulla stessa lunghezza d'onda di Bilan. Ne esiste una sintesi manoscritta in italiano in nostro possesso.
La Revue Internationale n. 59, rivista teorica in lingua francese della CCI riporta i tentativi di disfattismo rivoluzionario della Sinistra Comunista in Spagna durante la guerra e il raggruppamento di piccoli nuclei proletari su posizioni classiste, braccati dal POUM, dagli anarchici e, naturalmente, dagli stalinisti e dai fascisti.
Articoli di Bilan riprodotti in lingua italiana
Massacro di lavoratori in Spagna (dic. 1933) in Rivista Internazionale n.1/76
L'annientamento del proletariato spagnolo (ott. 34) Rivista Internazionale n.1/76
Quando manca un partito di classe (genn. 35) in Riv. Int. n.1/76
Spagna: borghesia contro proletariato (lug-ago 36) in Riv. Int. n.1/76
Al fronte del massacro degli operai spagnoli bisogna opporre il fronte di classe del proletariato internazionale (ago-sett 36) in Riv. Int. n.1/76 e in Il Partito Comunista n.148
Comunicato della Commissione Esecutiva (ago-sett 36) in Riv. Int. N.1/76
La crisi della Frazione (sett-ott 36) in Riv. Int. n.1/76
La rivoluzione spagnola (sett-ott 36) in Riv. Int. n.1/76
Comunicato della CE (sett-ott 36) in Riv. Int. 1/76
La lezione degli avvenimenti di Spagna (nov 36) in Riv. Int. n.1/76
La consegna dell'ora: non tradire (nov 36) in Riv. Int n.1/76
L'isolamento della Frazione di fronte agli avvenimenti di Spagna (nov 36) in Riv. Int. n.1/76
La crisi della Frazione (nov 36) in Riv. Int. n.1/76
Documenti della minoranza (nov 36) in Riv. Int n.1/76
La realtà di un governo di facciata (nov-div 36) in Riv. Int. n.1/76
Piombo, mitraglia, prigioni: così risponde il Fronte Popolare agli operai che osano resistere all'attacco capitalista (mag-giu 37) estratti in Riv. Int. n.1/76, in Il P.C. n.153-154
La repressione in Spagna e in Russia (lug-ago 37) in Riv. Int. n.1/76
Un manifesto dei comunisti messicani sul massacro di Barcellona (lug-ago 37) in Riv. Int. n.1/76
La guerra imperialista spagnola e il massacro dei minatori delle Asturie (ott-sett 37) in Il P.C. n.148
Articoli di Prometeo facilmente reperibili
L'esperienza spagnuola e la lotta del proletariato italiano (1° aprile 1930) in Comunismo n. 33
Gli avvenimenti di Spagna (1° marzo 1931) in Comunismo n. 33
La repubblica in Ispagna (17 Maggio 1931) in Comunismo n. 33
Il capitalismo in Ispagna drizza il palo d'esecuzione del proletariato spagnolo ed internazionale (1° nov. 1933) in Com. n. 34
Mentre i sicari del Fronte Popolare scannano i proletari per le vie di Barcellona (30 maggio 1937) in Com. n. 35
M.G.
Riviste e periodici alternativi e libertari nella Spagna d'oggi
Akefalos - Boletin antiautoritario - Pubblicazione saltuaria che dedica parte del suo spazio, ai prigionieri politici - Barcellona.
Al Margen - Trimestrale dell'Ateneo Libertario - Valencia.
A Revuelta - Rvista edita dall'omonimo gruppo, tratta di tematiche classiche libertarie con uno sguardo all'internazionale - Barcellona.
Autogestiò - Rivista aperta alle nuove forme di lotta e di organizzazione che emergono dalla società.
Bicel - Boletin interno de los Centros de Estudios Libertarios de la Fundacion Anselmo Lorenzo - La fondazione Anselmo Lorenzo (che prende il nome da un personaggio famosissimo in Spagna) è attiva nella creazione di un archivio dell'anarchismo, teso a diffondere la memoria storica del movimento - Madrid.
Butletì Estel Negre - Organ d'expressiò i combat de l'Ateneu Estel Negre - Ciutat de Mallorca (Islas Balears).
CNT - Organo de la Confederacion National del Trabajo - Testata storica del movimento anarcosindacalista spagnolo - Granada.
Cultura Libertaria - Mensile - Bollettino dell'associazione "Isaac Puente", a carattere prevalentemente culturale, attento a tutta la stampa che viene edita - Victoria.
Ekintza Zuzena - Aldizkaria libertaria - Rivista libertaria bilingue (spagnolo e basco), è dedicata ai problemi internazionali e alle tematiche basche - Bilbao.
El Acratador - Bollettino di controinformazione sulle tematiche dei centri sociali, del femminismo e tutto ciò che ferve nella società in senso libertario. Viene stampato dal 1989 dalla Ateneo Libertario di Saragozza.
El Antifaz del Norte - Giornale anarchico diffuso nell'Euskadi con accenti sull'autonomia e sull'autodeterminazione del popolo basco.
El Baifo - Revista alternativa - Santa Cruz de Tenerife (Islas Canarias).
El Noi - Bollettino periodico del Centro Studi Libertari, Fondazione "Salvador Seguì". Si occupa di cultura e di memoria storica - Valencia.
El Piquete - Revista - Rivista pubblicata a cura di Solidaridad Obrera - Madrid.
El Solidario - Organo della Confederazione Sindacale di Solidarietà Operaia - Madrid.
Estudios - Rivista con collaboratori importanti: N. Chomsky, A. Cappelletti, T. Ferrua, ecc.
Fragua Social - Giornale della CNT del Levante.
La Hoja - Boletin de la Colectividad "Los Arenalejos" - Alozaina.
Libre Pensamiento - Taller de debate confederal - Organo della Confederacion Generale del Trabajo (CGT) nata da una scissione della CNT - Madrid.
La Lletra A - Revista llibertaria - Uno spazio di riflessione e discussione sulla realtà quotidiana -Barcellona.
La Samblea - Boletin de la Asociaciòn Pedagògica Paideia - Merida.
La Veu de la Rabieta! - Butletì de controinformaciò - Vinaros.
Novedades - Bollettino di documentazione che riporta le testate di giornali anarchici a livello internazionale per favorire la diffusione dell'informazione. Edito dalla Fondazione "Salvador Seguì" - Madrid
Orto - Rivista che si avvale di un nutrito gruppo redazionale con vari legami in varie città europee - Barcellona.
Polemica - Rivista a tematiche libertarie: cultura, poesia, libri, società, lavoro - Barcellona
Revuelta - Plataforma de divulgacion del pensamiento libertario - Barcellona.
Rojo y negro - Mensile della CGT. Pubblica notizie non solo sul lavoro ma spazia sulla cultura, sui movimenti libertari, sulla repressione - Madrid/Pamplona.
Sin Fronteras - Portavoce della CNT catalana. Questa rivista si colloca in un settore dedicato allo studio dell'anarcosindacalismo.
Si Volem - Rivista a tema centrale ecologico.
Solidaridad obrera - Organo de la Confederacion Regional del Trabajo de Cataluna - Testata storica della CNT - Barcelona.
Solidaritat Internacional - Rivista catalana di informazione e controinformazione internazionale, molto attenta agli sviluppi del pensiero contemporaneo - Barcellona.
Tetuan - Foglio edito dall'Ateneo Libertario di Madrid, aderente alla CNT.
Tiempos Nuevos - Giornale della Federazione Anarchica Iberica Catalana.
Tinta negra - Periodico dei lavoratori dell'informazione e delle arti grafiche aderenti alla CNT.
Tierra y Libertad - Storico giornale della F.A.Iberica. Durante il franchismo usciva clandestinamente in Spagna e veniva stampato in Messico.
E.F. & Anarkiviu
I FILM
Morire a Madrid (Mourir à Madrid)
(Francia, 1937-1962)
regia: Frédéric Rossif; fotografia: George Barsky; musica: Maurice Jarre; montaggio: Suzanne Baron; commento: Madeleine Chapsal; durata 85'.
Frédéric Rossif è un cineasta di origine montenegrina, francese d'adozione, che ha lavorato finora soprattutto alla TV. Straordinario conoscitore del linguaggio filmico, ex collaboratore della Cineteca francese, si era già imposto all'attenzione con un'opera di montaggio sulle atrocità naziste, Vincitori alla sbarra. Per Morire a Madrid Rossif ha riunito un gran numero di documenti cinematografici, in parte inediti e spesso poco noti, sulla guerra civile; ha anche filmato, con il pretesto di realizzare un film turistico, un certo numero di scene sulla Spagna attuale, cercando di individuarne poeticamente soprattutto la tremenda immobilità. Le immagini nebbiose del colle di Somosierra, dove si combattè la prima battaglia per Madrid, ci sembrano eloquenti prima che suggestive. Come spesso accade il commento parlato risulta inferiore alle immagini. Nell'edizione originale le voci erano quelle di Suzanne Flon, Germaine Montéro, Jean Vilar, Pierre Vaneck e Roger Vallien; nella copia italiana i lettori sono soltanto tre: Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà e Anna Proclemer, molto puntuali ed efficaci. Madeleine Chapsal ha scritto un testo elegante, esatto, ma forse troppo incline a compiacimenti di carattere letterario che mascherano talune ambiguità. Non ci consideriamo fautori di una storiografia obbiettiva, che è un'astrazione impossibile, e siamo d'accordo che ogni autore proietti sull'evocazione del passato la sua ideologia presente. Vi sono tuttavia dei fenomeni storici, come la guerra di Spagna, intessuti di eventi complessi e contraddittori che andrebbero portati alla luce senza remore di nessun genere. Se i trentadue mesi di lotta per la Repubblica rappresentarono il tragico "prossimamente" della storia mondiale, ciò accadde anche perché la sinistra rivelò proprio allora la sua spaccatura. In terra di Spagna il contrasto fra il comunismo stalinista, sorretto dalla forza dei contributi sovietici alla causa repubblicana, e gli altri raggruppamenti politici del settore governativo sfociò in episodi di repressione dei movimenti anarchici e trotzkisti. Di tutto il sangue versato durante la guerra civile (e fu molto, un milione di morti), quelle dei libertari catalani accusati di collusione con i ribelli appartiene ad un capitolo oscuro. Per anni si è risposto alle vigorose testimonianze di parte, come l'Omaggio alla Catalogna di George Orwell, con argomenti dialettici e imperativi machiavellici. Oggi, archiviata l'ipoteca stalinista, sarebbe il caso di portare alla luce quei fatti senza sottintesi. Rossif e la Chapsal, come molti "gauchistes" anche in buona fede, non se la sentono di andare oltre un rapido accenno: "Il POUM, partito socialista d'ispirazione trotzkista, vuole contemporaneamente la vittoria e la rivoluzione. Gli anarchici della CNT e della FAI, che raccolgono la maggioranza dei lavoratori, vogliono la vittoria senza disciplina, il popolo senza lo Stato. Il partito socialista e il partito comunista detengono il potere effettivo: il partito socialista grazie al numero dei suoi deputati, il partito comunista grazie al suo dinamismo e alle armi russe. Purtroppo questi conflitti politici si risolvone con i fucili alla mano e con la mobilitazione nelle piazze". Il terreno scotta, ogni parola di più significherebbe compromettersi nell'una o nell'altra direzione. Ma lo storico, sia pure di estrazione giornalistica, non può lavarsi le mani dei problemi più scottanti, allontanare il calice amaro.
Tullio Kezich, Il film sessanta, Ed. Il Formichiere, Milano 1979
L'Espoir (Sierra de Teruel)
(Francia, 1939)
regia e sceneggiatura: André Malraux; soggetto dal romanzo omonimo di Malraux; interpreti: Joseé Sempere (comandante Péna), Andrés Mejuto (Munoz), Julio Péna (Attigniées), Pedro Codina (Schreiner), José Lado (José), Nicolas Rodriguez (Mercery); durata: 90'.
Film documentario e episodi sulla guerra di Spagna vista dalla parte dei repubblicani, diretto da André Malraux (1901-1976): intellettuale, scrittore e politico (fu Ministro della Cultura ai tempi del generale De Gaulle).
A proposito di "Espoir", lo storico del cinema Georges Sadoul così scrive nel suo dizionario dei film: "S'incominciò a girare il film nel giugno 1938, a Barcellona, in uno dei tre teatri di posa della città, ma con poco o nulla in fatto di materiale e attrezzature. Molti esterni furono girati sui campi d'aviazione tra un bombardamento e l'altro. Per la prima volta nella storia del cinema, alcune scene furono riprese nell'interno di un bombardiere, la discesa dalla montagna fu girata nella Sierra di Teruel con 2.500 reclute non ancora equipaggiate. Nel gennaio 1939, quando le truppe di Franco entrarono in Barcellona, il film non era ancora finito. Il film ha conservato un solo episodio del romanzo "La Speranza": e cioè l'incursione sul campo d'aviazione franchista. Il punto centrale dell'opera, il corteo che scende dalla Sierra portando i morti e i feriti, fu ispirato all'autore da un episodio cui aveva personalmente assistito. Splendide le scene dei combattimenti di strada, della colletta nel villaggio, del contadino che guida i bombardieri senza riconoscere dall'alto i paesaggi familiari. Nel 90 per cento del film, interpretato in piena guerra civile da combattenti che ricostruivano quanto avevano vissuto, si sente il vero soffio della rivoluzione spagnola, che annuncia le battaglie antifasciste della seconda guerra mondiale. Le parti più discutibili sono i dialoghi degli aviatori che si chiedono reciprocamente le ragioni per cui combattono. Quando il film fu presentato al grande pubblico, un critico svizzero scrisse: "Il mondo s'è messo a rassomigliare ai romanzi di André Malraux".
Terra e Libertà (Land and Freedom)
(Gran Bretagna - Spagna - Germania, 1995)
regia: Ken Loach; sceneggiatura: Jim Allen; fotografia: Barry Ackroyd; musica: George Fenton; montaggio: Jonathan Morris; interpreti: Ian Hart (David Carne), Rosanna Pastor (Bianca), Iciar Bollain (Maite), Tom Gilroy (Gene Lawrence); durata: 110'.
Liverpool, 1994. Un uomo che viveva in un quartiere popolare è vittima di un infarto. La nipote, Kim, lo accompagna con l'ambulanza all'ospedale ma durante il percorso l'uomo muore. Quello stesso giorno la ragazza trova una valigia con i ricordi del nonno: ritagli di giornale, foto, lettere e un fazzoletto rosso che contiene un pugno di terra. La ragazza comincia a leggere a partire da un foglio che riproduce l'annuncio di una riunione in difesa della Repubblica Spagnola.
Liverpool, 1936. Alla riunione nel corso della quale vengono mostrate sequenze di documentari su quanto accade in Spagna, viene chiesto un aiuto concreto per la difesa della Repubblica spagnola. David (il nonno di Kim) è presente tra il pubblico in compagnia della fidanzata Kitty, le parole del giovane miliziano lo convincono e decide di partire per la Spagna, Kitty cerca di dissuaderlo ma David è stanco della disoccupazione e delle parole che non vengono seguite dall'azione.
Spagna, 1936. David, che è iscritto al partito comunista inglese, entra però nelle file del POUM (Partito Operaio unificato Marxista) il gruppo detto della "Milizia" a cui aderiscono molti anarchici. David conosce così Bernard, la ribelle Maite e l'americano Jim Lawrence. Giunti al fronte vengono accolti dal capitano Vidal che consegna loro le uniche armi in possesso del gruppo: fucili vecchi e quasi fuori uso.
David fa così conoscenza di Coogan (ex combattente dell'IRA) e di Blanca, la sua donna. I compagni fanno uno scherzo a David facendogli credere che Blanca sia una prostituta.
Un mattino la Milizia attacca un paese che è in mano ai fascisti. La vittoria giunge al prezzo della morte di Coogan che viene sepolto solennemente. In paese si deve decidere se procedere alla collettivizzazione della terra. Il dibattito è acceso ma alla fine chi è favorevole alla collettivizzazione ha la meglio.
Kim continua a leggere le lettere che il nonno inviava alla fidanzata.
La guerra continua e il capitano si trova costretto a chiedere ai suoi uomini se vogliono sciogliersi come Milizia per entrare a far parte dell'Esercito Repubblicano controllato dagli stalinisti. I combattenti si esprimono in modo negativo alla fusione. Lawrence, il più pragmatico del gruppo, non è d'accordo su questa decisione. Intanto il senso di colpa che David prova per la morte di Coogan lo avvicina a Blanca. Un giorno, istruendo dei nuovi arrivati, David viene ferito dall'esplosione di un fucile difettoso. E' così costretto a curarsi e a passare un periodo di convalescenza a Barcellona. Una volta dimesso dall'ospedale si reca presso una pensione che gli era stata indicata da Blanca. Qui trova la ragazza che lo attende per rimanere con lui. I due trascorrono la notte insieme ma al mattino, quando Blanca apprende che David si è arruolato nell'Esercito Repubblicano, se ne va infuriata per quello che considera un tradimento.
David ha però ben presto occasione per ripensare alle sue scelte. Gli stalinisti sparano agli anarchici del POUM e non perdono occasione di diffamarli dichiarando che sono servi dei fascisti. L'uomo straccia allora la tessera del partito comunista e fa ritorno dai suoi compagni. Ormai la milizia è quasi del tutto priva di risorse e viene lasciata a combattere allo sbaraglio senza che i rinforzi repubblicani intervengano. Dopo una sanguinosa battaglia conclusasi con un ripiegamento i "rinforzi" arrivano. Sono camion carichi di soldati il cui comandante ordina ai miliziani di cedere le armi e di disperdersi. I loro capi verranno arrestati. Lo sconcerto tra gli uomini di Vidal è fortissimo: Tutti protestano, qualcuno comincia a deporre le armi. Blanca pretende delle spiegazioni dal comandante dell'esercito e, mentre si dirige verso un compagno che ha ancora il fucile in pugno, viene colpita a morte alle spalle dai soldati. Verrà vegliata da David e sepolta da tutti i suoi compagni. David conserverà nel fazzoletto rosso di Blanca un pugno di terra della sepoltura. E' quello stesso pugno di terra che la nipote Kim ha ritrovato e che sparge, nel giorno del funerale, sulla bara del nonno alzando il pugno chiuso.
"Il film tratta dell'esperienza della rivoluzione tradita nella Spagna degli anni Trenta, ma pone anche un interrogativo di grande attualità: se nel presente della nostra storia possa verificarsi qualcosa di analogo a quel che avvenne in Spagna". Così Loach ha presentato il film consapevole, ancora una volta e più di sempre, di aver provocato reazioni contrastanti, anche nel proprio campo di appartenenza, quello della sinistra. Loach è un autore che si è fatto via via più "scomodo" per chi vuole leggere la realtà con un solo tipo di chiave interpretativa. Se gli edili di Riff Raff potevano mettere d'accordo tutti, già la figura positiva del sacerdote (unica in un contesto sociale ormai dissolto) di Piovono pietre aveva fatto gridare al "tradimento" dell'ateismo dichiarato da parte del regista. Ma Loach non si è fermato e ha sferrato un colpo sotto la cintura intellettuale di chi era pronto a denunciare i danni prodotti dall'era tatcheriana. Quel colpo è stato portato con LadyBird LadyByrd, con una protagonista "troppo" irregolare per intenerire i progressisti dal cuore tenero.
(...) La prima parte del film sembra essere come bloccata dall'esigenza di collocare i personaggi all'interno della vicenda storica, quasi che la "didattica" tendesse a prevalere. Nonostante questa "gabbia" un po' vincolante la "realtà" si inserisce a viva forza nel film. Basti pensare alla sequenza della discussione sulla collettivizzazione per comprendere come Loach "legga" il pensiero di tutti lasciando che ognuno abbia spazio per proporre le proprie argomentazioni, costruendo così le premesse per la scena tragica del finale quando nessuno può più discutere perché la verità è "una e una sola": quella di chi ha il potere e lo impone con le armi. La prima parte di Terra e libertà è disseminata di questi segni che troveranno una loro compiutezza in seguito. Basterà citare lo scontro verbale tra miliziani e fascisti che troverà una specularità in quello tra miliziani e stalinisti a Barcellona o i due funerali (non a caso di due personaggi che si erano amati in vita, Coogan prima e Blanca poi)".
Giancarlo Zappoli, in "Film" n.17
Ay, Carmela!
(Italia - Spagna, 1990)
regia: Carlos Saura; sceneggiatura: Rafael Azcona; fotografia: José Luis Alcaine; musica: Alejandro Masso; montaggio: Pablo G. Del Amo; interpreti: Carmen Maura (Carmela), Andres Pajares (Paulino), Gabino Diego (Gustavete), Maurizio de Razza (tenente Ripamonte), Mario De Candia (Bruno); durata: 105'.
Spagna, durante la guerra civile, tre attori girovaghi, gli eterni fidanzati Carmela e Paulino e un ragazzo muto, Gustavete, vivono stentatamente recitando sempre lo stesso spettacolino, ora su un fronte ora su un altro. In una notte di pioggia, stanchi e affamati, decidono di abbandonare il campo repubblicano. Dopo aver rubato del carburante per il loro vecchio furgone, sempre privo di benzina, partono per far ritorno a Valenza.
Ma lungo la strada sono bloccati da un comando di nazionalisti (franchisti) che li conduce in una scuola-prigione.
Qui Carmela fa amicizia con un prigioniero delle Brigate Internazionali, un polacco, che le risveglia sentimenti materni.
Gli attori sono convinti ormai di essere fucilati insieme agli altri prigionieri, quando arriva l'ordine di condurli al cospetto del tenente Ripamonte.
E' un ufficiale italiano che da civile dirigeva un teatro. Nel campo italiano i tre sono rifocillati. Poi a loro è offerta la possibilità di salvezza: recitare per le truppe franchiste e per i camerati italiani. Paulino accetta e convince Carmela a far buon viso a cattivo gioco.
Lo spettacolo di varietà è adattato all'occasione. Tutto sembra filar liscio fino a quando la donna scopre che alla rappresentazione parteciperanno anche i polacchi che il giorno dopo saranno fucilati.
Carmela vorrebbe rifiutarsi perché lo spettacolo non è altro che una provocazione, ma Paulino la convince a recitare promettendole di sposarla in chiesa.
Carmela si appresta alla "pagliacciata" ma, durante lo spettacolo, cerca attraverso allusioni più o meno pesanti di rincuorare i prigionieri. Nel numero finale, quando si deve dileggiare la bandiera repubblicana, si scatena il putiferio.
Il tenente Ripamonte, ideatore dello spettacolo, si mostra soddisfatto. Ma l'imprevisto accade quando Carmela, stanca di essersi prestata ad un gioco subdolo, si lascia andare a grida e vituperi contro i franchisti e i fascisti. Un soldato, in platea, si alza di scatto e spara in fronte alla donna, che si accascia sul palcoscenico. Colpo di scena! Il ragazzo muto inizia a parlare gridando "Ay, Carmela". Poi Paulino e Gustavete la seppelliscono e si allontanano con il loro furgoncino.
Il regista si serve di una pièce teatrale dove gli avvenimenti della guerra civile sono narrati attraverso le vicende di tre attori dell'avanspettacolo. E' il "teatro nel teatro" non inserito in una realtà d'invenzione ma nella Storia, che determina le situazioni e a sua volta ne è determinata. Lo spettacolo, poi, è ripetuto più volte con piccole modifiche a seconda del pubblico (repubblicano o franchista), secondo una convenzione che fa pensare al cinema americano delle origini. Ay, Carmela! è stato avvicinato anche al cinema italiano (dalle commedie di Zampa a Polvere di stelle di Luciano Salce con Sordi-Vitti).
Cristina Mazzantini, in Film, n.3
L'assedio dell'Alcazar
(Italia, 1940)
regia: Augusto Genina; sceneggiatura: Augusto Genina, Alessandro De Stefani, Ugo Betti; dialoghi: Edoardo Anton; fotografia: Jan Stallich; montaggio: Fernando Tropea; interpreti: Fosco Giachetti (capitano Vela), Rafael Calvo (colonello Moscardò), Mireille Balin (Carmen Herrera), Maria Denis (Conchita Alvarez), Andrea Cecchi (Pedro); durata: 112'.
A Toledo la guarnigione militare agli ordini del colonnello Moscardò si schiera per il generale Franco che ha iniziato dal Marocco la sua presa di potere. Il colonnello resiste alle pressioni di Madrid e si dispone alla difesa di Toledo, proclamandone lo stato d'assedio. La popolazione è accolta dentro l'Alcazar, che domina Toledo. La prima difesa contro le forze madrilene viene sistemata all'ingresso della città, in un ospedale militare. Caduto questo, occorre resistere nell'Alcazar. Cominciano i 68 giorni dell'assedio (luglio-settembre 1936) in cui i legionari tengono testa agli assalti dei "rossi".
Il film procede linearmente attraverso una serie di episodi significativi: il primo bombardamento, mentre il cortile dell'Alcazar è pieno di bambini che giocano; la telefonata tra il capo della difesa e il figlio prigioniero dei "rossi"; la scoperta, in un magazzino vicino, di alcuni sacchi di grano, quando ormai sovrasta lo spettro della fame; la notizia da Radio Milano che i franchisti marciano su Toledo; l'attesa angosciosa dello scoppio della mina nei sotterranei dell'Alcazar; un fallito tentativo di sortita per distruggere la mina; la battaglia dopo lo scoppio; l'arrivo dei nazionalisti e la liberazione.
Contemporaneamente a questi fatti si sviluppano due storie d'amore:
a) Conchita, fanciulla semplice e candida, ama ed è riamata da Francisco (Aldo Fiorelli). Ma durante una tregua Francisco è proditoriamente ferito a morte da un miliziano. Poco prima di spirare si fa sposare "in extremis" con Conchita.
b) Una giovane madrilena, Carmen, trovatasi per caso a Toledo è costretta a sopportare i disagi e gli orrori del resto della popolazione. E' superficiale, frivola. Si invaghisce capricciosamente dell'eroico capitano vela. Il dolore che la circonda le matura l'anima: il suo sentimento per il capitano si trasforma in vero amore. Sentendo ormai troppo alieno da sé il proprio passato, respinge Pedro, il suo antico corteggiatore, anche lui nell'Alcazar e anche lui in clima di epica abnegazione. In una sortita Pedro muore, dopo aver rivelato al capitano Vela, l'amore della ragazza, che probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di svelarlo lei stessa. Quando gli assediati vengono liberati lei e Vela si sposano.
"E' un film scabro, un film di guerra, robusto e niente affatto raffinato, che ha le radici scrupolosamente affondate nella storia, e in una storia recente. La retorica e l'enfasi stanno alla soglia delle rievocazioni di gesta eroiche, di gesta cioè che appena toccate squillano. Ma Genina ha avuto molto tatto non trascurando il lato borghese (mi sia permessa la parola) della storia. Poiché ciò che all'interno dell'Alcazar avviene è un po' la vita di una piccola città, con le sue nascite, le sue morti (ma queste tanto più numerose) e le sue storie d'amore. Si è parlato dell'Alcazar come di un film corale, un film di folla: ed è vero in parte. Poiché il senso epico dell'opera a nostro avviso si sprigiona anche dal sacrificio e dal dramma singolo, e qui sta il pregio maggiore del valore. Non dimentichiamo che sul finire, quando è annunciato prossimo l'arrivo delle truppe falangiste, il giubilo della folla è sfondo al dramma di poche persone; e son difatti i primi piani di queste che si susseguono, mentre dietro è tutto un brulichio e le voci intonano canti" (Michelangelo Antonioni, in Cinema, n.102, 25/7/1940).
"Il pregio migliore del film consiste in questo senso di compattezza austera e mossa, che nasce da un sapiente impiego delle masse e da un cosciente ripudio degli arabeschi e delle frondosità. La tecnica è un po' a squadro, e, a volte, di una brutalità non occasionale: questo film non è certo trine di Fiandra; né Genina ha avuto paura degli effetti. Pur controllandosi entro i limiti di una sua sobrietà istintiva egli non ha esitato, ad esempio, nella scena del bombardamento, a farci vedere una bambina sola, vacillante sulle gambette, mentre tende piangendo le braccia a invocare un protettore che purtroppo non viene; o una vecchia svenuta o una donna isterica che morde il cuscino ecc.; né è mancata la rituale nascita di un bambino nei momenti più tragici dell'azione...
Con una perizia massiccia e ignara tanto delle leziosaggini quanto degli eccessivi pudori, Genina ha usato tutti gli elementi emotivi a sua disposizione senza lesinare troppo: donne e bambini sono stati protagonisti delle scene più patetiche, ed il pubblico ha ceduto sempre alla suggestione imposta da lui.
A questo punto è essenziale una considerazione: per i caratteri ora delineati, L'assedio dell'Alcazar trova un senso pastoso di veridicità, che però non si solleva dal tono del documentario. Nobilissimo emozionante documentario, ma sempre documentario. Vogliamo dire, che, i fatti parlando da sé, hanno sempre parlato e non hanno permesso ai cineasti di aggiungere parole, o almeno parole felici. Tutti gli effetti buoni son sempre venuti dalla cronaca e dalla sua realistica riesumazione. Lo stesso montaggio, che in simili casi reca il sigillo della personalità dei creatori e conferisce il tono all'opera cinematografica, qui è forse stranamente, e vorrei dire fascinosamente, legato a suggerimenti non oscuri e non peregrini che la stessa materia offriva...
Ed eccoci al nocciolo: se l'arte è trasfigurazione operata dalla fantasia, l'Alcazar ci lascia dei dubbi. La fedeltà della ricostruzione dell'ambiente e dei fatti, la coerenza del tono massiccio e corale (anche la fotografia un po' grossa e non schifiltosa ha egregiamente concorso a tale effetto; anche il commento musicale che a lunghe pause alternava sonorità intense e scroscianti) hanno dato luogo ad uno splendido spettacolo e a un buon film. Ma la fantasia ha raramente spiccato il volo sul materiale documentario". (L.Tr., in Bianco e Nero, nn.11-12, 1940).
Spagna '37
(Francia - Spagna, 1937)
regia: Luis Bunuel; fotografia: Roman Carmen; musica: Beethoven brani dalla Settima e Ottava Sinfonia; montaggio: Jean Paul Dreyfus; commento: Pierre Unik e Luis Bunuel; durata: 35'.
Incaricato da governo repubblicano di realizzare un film di propaganda sulla Guerra Civile in corso, Luis Bunuel (1900-1983) deve fare i conti con la scarsità del materiale documentario a sua disposizione, ma ne sortisce un film di montaggio dal forte impatto ideologico ed emotivo.
La guerra è finita (La guerre est finie)
(Francia, 1966)
regia: Alain Resnais; sceneggiatura: Jorge Semprun; fotografia: Sacha Vierny; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Eric Pluet; interpreti: Yves Montand (Diego), Ingrid Thulin (Marianne), Genevieve Bujold (Nadine), Dominique Rozan (Jude), Michel Piccoli (l'ispettore); durata: 121'.
Tre giorni della vita di un uomo.
Tre giorni datati con estrema precisione: siamo nel 1965, durante le feste di Pasqua. Cinque anni prima, l'anno scorso, tra sei mesi, quest'uomo non era, non sarà lo stesso.
Il tempo conta nella vita di un uomo di quarant'anni: l'usura si sente, le opzioni diventano più urgenti, o più irreali.
Tre giorni nella vita di uno spagnolo.
Anche questo conta, la realtà della Spagna. E' storia: una guerra che è finita, ma che pesa ancora sui destini individuali. E' un paese che muore, sotto gli orpelli tradizionali - e drammatici, tutti ne convengono - della corsa dei tori e delle processioni della settimana santa. Un vecchio paese, molto giovane. E' anche il paradiso delle vacanze: 14 milioni di turisti, i piedi nell'acqua, nel baccano dei transistor.
Trent'anni fa in questo paese scoppiava la guerra civile. Dopo trent'anni degli uomini cercano di modificare, attraverso la loro azione tenace e sconosciuta, il destino che una vittoria militare ha imposto al loro paese.
Il destino di Diego, questo spagnolo di quarant'anni, è la rivoluzione: è così che le cose si sono stabilite, per una serie di meccanismi del caso e delle scelte. Una rivoluzione che prende spesso la figura del sogno e del dolore. Tre giorni della vita di Diego Mora a Parigi. La Spagna con il peso di tutta la sua presenza assente. Tre giorni alla ricerca di Juan - suo simile, suo fratello - che il pericolo minaccia.
Alain Resnais e Jorge Semprun
La realizzazione de La guerre est finie rappresenta per Resnais non un'inversione di tendenza, ma certamente la scelta di una direzione operativa nuova. La guerre est finie è infatti un film che si presenta subito definito dall'esplicito carattere politico del soggetto e dalla volontà di aprire un discorso su alcuni problemi che riguardano il settore dichiaratamente politico della vita associata. Resnais tuttavia, da un lato non vuole richiudersi dentro il "genere politico" (non vuole fare un film la cui struttura sia già fondamentalmente predeterminata dall'appartenenza ad un ordine comunicativo codificato) e, dall'altro non intende rinunciare alle coordinate basilari della ricerca formale precedentemente avviata. Così il film non è tanto una sintesi tra un'esigenza di politicizzazione del discorso filmico e lo sviluppo di una ricerca formale personale, quanto una nuova esperienza di scrittura filmica, apertamente politica (cioè direttamente politicizzata a livello di soggetto), nella quale, tuttavia la strutturazione formale, l'assunto conoscitivo e l'interesse per la dinamica coscienziale e immaginativa restano fondamentali. Per Resnais e Semprun, infatti, si tratta di analizzare l'attività politica, le prospettive di lotta e di trasformazione di una situazione socio-politica passando attraverso il diaframma della soggettività quotidiana del militante politico. Il discorso politico, insomma, proprio per sfuggire al cliché usurato del film politico (di derivazione più o meno strettamente neorealistica) deve svilupparsi, secondo Resnais, come discorso sulla soggettività esistenziale e sulla forma; deve elaborare, cioè, strutture capaci di distanziare e mediare la problematica apertamente politica in una comunicazione più complessa e polimorfa.
Paolo Bertetto, Resnais, Il Castoro Cinema n.29
Antologia a cura di Aldo Viganò