La morte per acqua
Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni,
Dimenticò il grido dei gabbiani, e il flutto profondo del mare
E il guadagno e la perdita.
Una corrente sottomarina
Gli spolpò le ossa in sussurri, mentre affiorava e affondava
Traversò gli stadi della maturità e della gioventù
Entrando nei gorghi.
Gentile o Giudeo
O tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento,
Pensa a Fleba che un tempo è stato bello e ben fatto al pari di te
T.S.Eliot, The Waste Land
Chi intenda oggi riconoscere come significativo ed essenziale per la ricostruzione di un punto di vista antagonista ai vigenti rapporti di dominio economico, politico e sociale, il momento della ricomposizione di una memoria storica del vivere sociale, del vissuto collettivo ed individuale che si snoda attraverso anni di lotte, di battaglie perdute e di pacificazioni cruente, non può non misurarsi su che cosa significhino storia sociale, storia politica, storia dell'antagonismo e della critica radicale.
La storia è un oggetto affascinante e complicato, di sovente autoreferenziale, spesso inadeguato a rendere conto della complessità e della molteplicità degli eventi stratificati che pretende di rappresentare, evidenziandone i nessi e le consequenzialità. Fare storia sociale, o meglio delle contraddizioni e dei movimenti profondi e superficiali del corpo sociale, implica un'interpretazione o meglio una sistematizzazione dei processi sociali.
C'è una storia ufficiale che tace su antagonismi e radicalità sociali. Una storia che imbalsama tutto quello che non può ignorare e riduce a liturgia antifascismo e Resistenza. C'è anche una storia ufficiale di sinistra, fino a ieri costretta nel letto di Procuste dello stalinismo, che ancor'oggi reinterpreta lotte operaie e conflitti sociali, che smussa le asprezze della critica più radicale, che criminalizza le sue forme più dure, che marginalizza tutto ciò che non rientra nei suoi canoni interpretativi. Canoni funzionali sempre ai suoi progetti ed alle sue strategie di riforma e di edulcoramento delle tensioni sociali.
Ci sono poi storie alternative - certo più nobili sebbene alcune fortemente ideologizzate - che traguardano gli eventi da un dichiarato punto di vista di classe e rivoluzionario. Che spesso tuttavia nel comprimere pulsioni, movimenti e lotte nel paradigma interpretativo meccanicamente deterministico della lotta di classe, dell'avvento del comunismo, rischiano di faire pendant - metodologicamente se non ideologicamente - alla storia istituzionale con il suo continuo farsi e disfarsi dell'intreccio interpretativo sul materiale consunto dell'oggettività degli eventi, con il suo replicare dell'affannarsi del Winston orwelliano al Ministero della Verità.
Che la storia sia quella scritta e omologata dai vincitori è ovvio. Che se ne possa scrivere una alternativa - in nome di progetti e strategie di trasformazioni socio-economiche (anche le più radicali) e di visioni del mondo connesse - è altrettanto scontato. Che nel far questo si possano assumere come elementi di centralità l'extraistituzionalità o la marginalità di movimenti del corpo sociale è altrettanto accettato. Quello che è un po' meno condiviso dal senso comune è che ciò che permette queste operazioni sia da un lato la presunta oggettività dei fatti (pronta a riemergere alla luce previo l'impiego di lenti e di filtri adeguati), dall'altro che, sempre e comunque, la materia sia costituita dall'agire e dal prodotto dell'azione degli uomini en masse, con l'implicita considerazione che le forme del rappresentarsi collettivo del proprio agire siano elemento in definitiva subordinato e che le storie, il vissuto e le rappresentazioni individuali siano - nella migliore delle ipotesi - o paradigma del collettivo o microelementi che si compongono in questo a prezzo della propria specificità. Che questi presupposti siano ragionevoli non è da dubitare, pensare che siano gli unici ammissibili è sicuramente riduttivo e poco si confà a chi fa propria la battaglia contro il monolitismo e l'integralismo interpretativo.
Se il fare storia (e in particolare il fare storia sociale) oggi soffre di mille disagi, di problemi non risolti o non posti, dell'arroganza di chi ha dichiarato la fine non solo delle lotte e dei movimenti antagonisti ma anche della possibilità di darne la rappresentazione, della desertificazione culturale e politica di chi si contrappone al flusso "regolare" degli accadimenti, allora la conseguenza più immediata non può essere che la necessità di ripartire dal punto minimo della ricomposizione fisica delle testimonianze e della documentazione che queste veicola. Senza discriminare i materiali meno "nobili" delle esperienze più marginali, proprio nella consapevolezza che su questo terreno la perdita delle testimonianze e il decadimento della memoria storica sono più rapidi e non esistono spazi di recupero.
Da tutto ciò consegue che il compito che ci siamo volenterosamente assunti in quanto promotori dell'Archivio Storico & Centro di Documentazione di Genova Pegli, con i suoi ovvi limiti di ambito spazio-temporale (raccolta di testimonianze e di documentazione inerente le forme e le risultanze dell'antagonismo e della critica sociale dal dopoguerra ad oggi) si caratterizza non concorrenzialmente, ma complementarmente agli archivi storici locali e nazionali che - con ben altri mezzi - adempiono ad una precisa funzione nei confronti della testimonianza delle esperienze ufficiali del movimento operaio, intendendo soprattutto rendere visibile la multiformità e la vitalità dell'antagonismo sociale e del movimento di classe attraverso la testimonianza delle sue manifestazioni politiche, teoriche, culturali, passate ed attuali. Tuttavia nel far questo non intendiamo confinarci in chiave localistica, ma anzi considerare con estrema attenzione i legami e i nessi tra le esperienze del territorio e tutto ciò che si è mosso e tuttora si muove a livello nazionale e internazionale.
In questa prospettiva è nostra intenzione fare dell'A.S.C.D. oltreché un centro di raccolta e di catalogazione di materiale storico e documentario, anche un momento attivo, di aggregazione di discussione tramite cicli di proiezioni di audiovisivi, di presentazioni di testi e di dibattiti. Questo stesso bollettino - di cui editiamo un primo numero "sperimentale" - dunque tenterà di diventare - più che un semplice catalogo ragionato di materiale documentario - uno strumento per adempiere alla funzione più generale che abbiamo individuato, aperto ai contributi di ricerca, discussione e recupero di frammenti di memoria storica.
PROPOSTE DI RILETTURA
Rileggere Montaldi
Al di là dell'occasione contingente (la pubblicazione da parte del Centro d'Iniziativa Luca Rossi degli scritti inediti) ritengo che la proposta di rilettura di alcune delle opere principali di Danilo Montaldi (Cremona 1929 - Alpi Marittime 1975) abbia un duplice senso. In primo luogo un significato "interno", ovvero in rapporto agli intenti dell'A.S.C.D., perché la marginalità del pensiero montaldiano, nei termini in cui si dirà, è proprio una delle categorie con cui abbiamo scelto di confrontarci nella nostra attività di Archivio e di Centro di Documentazione. Marginalità che non è un segno negativo se significa eccentricità rispetto alla presunta centralità di un dibattito che riduce movimenti di massa, lotte operaie e antagonismi sociali ad appendice del gioco istituzionale e delle norme che regolano la gestione formale del potere. Marginalità che dunque diventa - con uno scontato gioco di parole - centralità rispetto al dibattito sulla composizione ed i percorsi di classe, sul rapporto dialettico tra masse, movimento operaio, militanti, avanguardie politiche ed intellettuali, forme storiche e contingenti - istituzionali e no - in cui si cristallizza, si deposita l'iniziativa concreta del proletariato. In Montaldi - e questo è il secondo significato, quello "esterno", che si può dare alla sua rilettura - questa dialettica è sempre presente anche quando si indirizza sul terreno scivoloso dell'inchiesta nella rivalutazione in senso rivoluzionario della sociologia come scienza marxista, o meglio della sociologia come scienza generale della società e dunque "marxismo" in sé. Il rifiuto dell'economicismo, il rigetto di criteri sociometrici come surrogato a questo sono ad un tempo limite e valore dell'impostazione montaldiana. Limite perché ovviamente il rischio è quello di gettar via il bambino con l'acqua sporca, ovvero quello non tanto remoto di astrarre la produzione e la riproduzione sociale dalla pesante concretezza dell'attività produttiva delle sue basi materiali, confinandola in un limbo al quale lo studio dei movimenti del divenire sociale allude in continuazione ma in quanto sfera separata. Valore perché i "tipi" dell'inchiesta montaldiana (che è una delle parti più fertili ed originali del corpus della sua opera) non pretendono né di essere rappresentativi della multiformità delle condizioni proletarie e sottoproletarie né di essere gli addenda di un corpo variegato di classe che si va componendo per aggiunzioni successive, ma piuttosto sembrano rappresentare degli indicatori di trasformazioni sociali e politiche in atto che, traguardate sulla trama delle microstorie individuali, rendono espliciti e leggibili i momenti elementari di frammentazione e di sviluppo ineguale della coscienza di classe tipici delle fasi di transizione e di crisi, elusi spesso dalla potenza astrattiva della macroanalisi.
Mi sembra superfluo aggiungere altro proprio per la complessità del pensiero montaldiano (testimoniata tra l'altro dalla "variegatezza" delle schede che alcuni volenterosi hanno compilato ciascuno dal proprio particolare punto d'osservazione) e dunque rimanderei ad una rilettura delle opere di Montaldi con riguardo al contesto in cui sono state scritte ma fatta con gli occhi di oggi.
g.b.
Bibliografia essenziale
F.Alasia - D. Montaldi, Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, Milano, Feltrinelli, 1960, nuova edizione 1975.
D. Montaldi, Autobiografie della leggera, Torino, Einaudi, 1961, seconda edizione, 1972.
D. Montaldi, Militanti politici di base, Torino, Einaudi, 1971.
D. Montaldi, Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, Roma, Samonà e Savelli, 1975.
D. Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970), Piacenza, Ed. Quaderni Piacentini, 1976.
D. Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952-1975, Milano, Ed. Centro d'Iniziativa Luca Rossi, 1994
SCHEDE 1 e 2 - DANILO MONTALDI
"Autobiografia della leggera" - "Militanti politici di base"
L'"Autobiografia della leggera" e "Militanti politici di base" costituiscono due momenti della ricerca di Danilo Montaldi sulla gente della Bassa padana.
I protagonisti (sottoproletari e proletari del Cremonese), raccontandosi in prima persona, compongono un documento materiale dei rapporti di classe di un mondo in transizione tra civiltà contadina e sviluppo industriale nel periodo compreso tra gli anni che precedono la I guerra mondiale e il secondo dopoguerra.
Le cascine, le osterie, i linguaggi e poi gli scioperi, il carcere, i mille mestieri costituiscono lo sfondo comune delle due inchieste, concepite da Montaldi come strumenti di conoscenza e trasformazione della realtà.
Non c'è tuttavia nelle premesse di Montaldi ad entrambe le inchieste nessuna nostalgia e nessun richiamo ad un'ipotetica age d'or incontaminata e non guastata dallo straripare dei rapporti sociali di produzione capitalistici nella Bassa padana.
Il passato è morto ed ogni richiamo ad esso nelle memorie dei protagonisti è l'emblema, la spia delle pulsioni degenerative di ogni transizione sociale.
Le parole dei protagonisti finiscono così per disegnare un complesso intreccio di motivi culturali, sociale ed economici che, nelle loro pur diverse articolazioni, li rende oggettivi antagonisti del processo di trasformazione a cui li si vorrebbe assoggettare.
Dall'inchiesta del '71, più direttamente leggibile su un piano politico tradizionale, perché priva degli elementi picareschi che costituiscono l'ossatura dell'"Autobiografia", emergono in modo esplicito i temi del dibattito degli anni '60 in merito alla forma Partito e alle organizzazioni di massa.
Sono i "militanti di base", anello di congiunzione tra le masse e il Partito (poiché partecipano all'esperienza e ai valori di entrambi) a rivelare i termini di un progressivo e inesorabile scollamento tra base e vertici delle organizzazioni storiche della Sinistra.
Montaldi non interviene nel racconto, non ne media le incongruenze, non ne abolisce le ripetizioni, non ne rielabora il linguaggio. Non c'è operazione di filtro ma, volendo, una raffinata opera di "montaggio" delle testimonianze che trasforma la storia "orale" in occasione di riflessione individuale e collettiva.
Spetta comunque a chi legge trovare il filo di continuità, o di rottura, tra il dettaglio concreto e un'analisi politica che non prescinde mai dal vissuto personale.
A questo punto chi parla e chi ascolta sono sottratti alle regole dell'impianto sociologico e, o per aver vissuto determinati avvenimenti o per la volontà di riflettere su di essi, diventano soggetti attivi del processo di trasformazione sociale.
Processo che, per Montaldi, passa attraverso la ricerca del "partito che non c'è", tema centrale del dibattito di quegli anni da parte di una Sinistra che rifiutava di riconoscersi nell'"autonomia del politico" e di cui forse solo oggi si riesce a cogliere l'intera portata.
Resta da dire che a più di venti anni di distanza, mutate le condizioni e i codici interpretativi, molti di quei nodi restano ancora da sciogliere.
Rileggere, ripensare alcuni di quei passaggi può significare riproporli, negarli o superarli, ma questa è materia dell'oggi. Prescinderne è comunque difficile.
p.c.
SCHEDA 3 - DANILO MONTALDI
"Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970)"
Ci sono obbiettive difficoltà a recensire, o anche solo a commentare, quest'opera di Montaldi. Si potrebbe considerare questo testo come una rilettura da "sinistra" della storia del P.C.I. dalle origini agli inizi degli anni '70, una rilettura in decisa contrapposizione con quella storiografia "ufficiale" (Spriano in testa) che - apologetica, sacrale o critica - non perde mai il suo carattere di ritualità e sancisce dunque e sempre la sostanziale mancanza d'autonomia intellettuale delle teste d'uovo dell'intellighenzia d'apparato e non.
Farebbero propendere per questa interpretazione l'accurata ricostruzione delle vicende che portarono alla fondazione del partito nel '21, dei ruoli e delle posizioni politiche di Togliatti, Bordiga, Gramsci e Tasca in quegli eventi, l'analisi dei rapporti del P.C.d'I. con l'Internazionale Comunista, la dirigenza del partito bolscevico e poi con Stalin, la lotta antifascista, il "centro" in esilio, la rottura con i "dissidenti", ecc., ecc.
Ci sono tuttavia ottimi motivi per ritenere questa interpretazione alquanto restrittiva. Il primo è, con tutta evidenza e banalità, il titolo stesso dell'opera: saggio sulla politica comunista e non sul partito. Il secondo è la sua struttura, slegata dalla diacronia degli eventi: si passa dall'analisi del "Memoriale" togliattiano di Yalta del '64 a quella della Direttiva per lo studio delle questioni russe del '27 ad uso dei comunisti italiani in clandestinità e in esilio, e così via, avanti e indietro nel tempo a cogliere i momenti topici, le "svolte" e la consequenzialità della politica del gruppo dirigente comunista italiano, svariando dalla questione nazionale ai grandi nodi del movimento comunista internazionale. Una struttura analitica - in definitiva e paradossalmente - più predisposta a cogliere il filo conduttore della continuità del centrismo togliattiano-gramsciano dalla fondazione agli anni '70. Il terzo motivo è il posto che quest'opera occupa nell'indagine montaldiana e la natura stessa di questa. C'è insomma uno iato abbastanza sensibile tra l'impostazione questo saggio e quella di un'ipotetica controstoria del partito comunista scritta da un oppositore storico (sia esso bordighista o trotzskista).
Non so se, come sostiene N.Gallerano nella nota introduttiva, questa Storia dovesse - nelle intenzioni di Montaldi - far parte del ciclo aperto con le Autobiografie della Leggera e proseguito con Milano, Corea e Militanti politici di base. Ci sono tuttavia buone ragioni - come dicevamo - per inquadrare questo saggio a pieno titolo nel corpus montaldiano dell'indagine socio-storico-politica.
Alcune delle categorie di fondo della concezione di Montaldi infatti emergono anche sul terreno che apparentemente meno si presta al loro impiego e cioè quello della storia di un partito, della sua dirigenza, dei suoi rapporti e delle sue crisi, in una parola della sua politica.
L'"esperienza proletaria" (intesa nel suo senso più generale di esperienza di lotta, di sconfitta e financo di distacco e scollamento dall'organizzazione dai suoi centri dirigenti) e il "partito diffuso" (inteso come contraltare "genuino", e fondato su una pratica di classe - sia essa antifascista o anticapitalista - che supera i distinguo e le differenziazioni ideologiche, all'istituzionalità del partito e dell'organizzazione politica) sono a mio avviso il collante dell'opera politica montaldiana e nello specifico la premessa sottintesa del Saggio, il suo contesto naturale e il filtro da cui sono traguardati gli eventi della politica comunista.
Non dunque, al di là delle apparenze, il contrasto tra due "anime" (Bordiga - Togliatti e Gramsci, internazionalismo - specificità nazionale, materialismo - storicismo crociano, marxismo - liberalismo, lotta di classe - union sacrèe, ecc.) ma piuttosto il dipanarsi di una coscienza "grezza" di classe che si interseca e si riflette nel grande dibattito teorico e politico, condiziona ed è condizionata dal susseguirsi delle strategie, delle alleanze e delle svolte tattiche in sessant'anni di storia comunista.
I microcosmi dei Militanti e della Leggera sono, in quanto vissuti individuali concreti di classe, il dato oggettivo, la materia bruta ma non informe, che è ad un tempo contestualizzato e contestualizzatore rispetto alle grandi questioni, alla politica dei gruppi dirigenti, al montare e al defluire della coscienza proletaria (antiborghese, antifascista, antimperialista) che, ciclicamente, irrompe nel quadro delle rappresentazioni razionalizzatrici, storicizzanti o dialettiche rivelando a volte la carente congruenza di strategie e direttive con i concreti percorsi di classe.
L'esperienza proletaria, nella Weltansicht di Montaldi, si dispone sempre sulle linee di minor resistenza e maggiore radicalità rispetto alle parole d'ordine a alle indicazioni del quadro dirigente. Nel senso che ne estremizza, nel dibattito decentrato e nella pratica di lotta, le indicazioni e a volte le stravolge rispettando curiosamente e formalmente il quadro d'insieme delle direttive stesse. I militanti di base traducono nella loro esperienza concreta ciò che spesso è intraducibile trasferendo nelle proprie coordinate politiche ed intellettuali - che derivano da un vissuto di relazioni, rapporti, sfruttamento e subordinazione - "socialfascismi", "fronti popolari", "convergenze", "unità popolari e nazionali". Il rapporto dialettico è saltato o meglio non sono le dirigenze politiche, le avanguardie di classe a padroneggiarlo ma i proletari, i militanti politici di base, in modo rozzo e approssimativo, comunque commisurato alla loro esperienza.
Il partito diffuso è quindi di volta in volta ciò che l'esperienza proletaria rappresenta a sé come strumento di lotta di classe. Ne possono dunque far parte a volte i dissidenti dalla linea del partito, i socialisti, gli anarchici, i trotzskisti, i bordighisti, mai gli aderenti ai partiti borghesi. Il partito diffuso è l'esperienza proletaria materializzata, grondante dei propri limiti e carica delle proprie potenzialità.
La "politica comunista" vi si sovrappone - totalizzante ma non comprensiva, razionalizzante ma distorcente, astraente ma non dialettica - qualunque sia la fase storica e l'apparato organizzativo che la esprime. Questa è forse una lezione che le pagine di Montaldi (anche quelle del Saggio) riescono ancora a trasmettere o meglio che qualcuno può ancora aver voglia di cogliere.
gia.
SCHEDA 4 - DANILO MONTALDI
" Korsch e i comunisti italiani"
Il testo prende in analisi i rapporti fra Korsch e la sinistra italiana nella persona di Bordiga, ma anche in quella sinistra - Pappalardi in primis - che, in disaccordo politico e teorico sulla natura dell'Internazionale e dell'URSS, rompe già nel 1923 col PCd'I per partecipare, successivamente, in Francia alle riviste Reveil Communiste e l'Ouvrier Communiste su posizioni che si avvicineranno sempre più a quelle della sinistra comunista tedesca e della KAPD per finire poi su posizioni vicine all'anarchismo.
Montaldi, oltre un veloce excursus sulla tendenza di Pappalardi, fuori dello "storicismo" tutto italiano, recupera il marxismo rivoluzionario rispetto a un Gramsci ormai "bolscevizzato" e portato a condurre a termine un'impossibile rivoluzione nazionale: per questo non può non emergere la figura di Bordiga, troppo a lungo tenuta nascosta in Italia dalla sinistra ufficiale e anche dalla pretesa sinistra rivoluzionaria di quegli anni.
Secondo noi il testo è invece carente sui rapporti fra Korsch e la Frazione di Sinistra del PCd'I (poi Frazione italiana della Sinistra Comunista Internazionale) fondata a Pantin nel 1928 sulla piattaforma della sinistra del PCd'I (Bordiga) del 1926. E' inspiegabile il fatto, tanto più che una serie di questioni - il rifiuto al sostegno delle lotte di liberazione nazionale, la nozione di "decadenza" del capitalismo, la funzione del partito - avvicinava la Frazione alle tesi della sinistra comunista tedesca e questo tanto più inspiegabile per il fatto che il saggio non è sul rapporto tra Korsch e Bordiga, ma tra quello e i comunisti italiani. Ora, la Frazione - che comunque viene citata appena da Montaldi - era quella che coerentemente rifiutava di venire identificata con la persona e il pensiero di Bordiga, in coerenza con Bordiga stesso, per questo si imponeva un confronto fra Korsch e la Frazione.
Per quanto riguarda quello che generalmente viene definito il comunismo italiano in generale, è importante rimarcare il fatto che l'autore rende giustizia su una presunta affinità fra Korsch e Gramsci a proposito della democrazia consiliare, mentre affinità esiste fra Korsch e Bordiga sulla denuncia del corso degenerativo dell'Internazionale Comunista. Scrive Montaldi: "Dire che esiste relazione fra Gramsci e Korsch è come dire che ne esiste una tra Bordiga e Stalin". Montaldi mette anche in risalto la visione sostanzialmente idealista del Gramsci de La rivoluzione contro il Capitale che poi è una visione che peserà abbondantemente anche in futuro: su questo punto giocherà poi pesantemente la direzione del PCI negli anni '40, quando Togliatti, ad esempio, appoggerà la monarchia con la giustificazione che in Italia esistevano resti di feudalesimo, rappresentato dal fascismo (la cosiddetta svolta di Salerno).
L'affinità, una certa affinità, esiste invece tra l'autore di Marxismo e filosofia e Bordiga. Ma, mentre il tedesco intende porsi nella prospettiva di una nuova organizzazione o sul piano dell'attività, Bordiga ritiene che, dato ormai il corso controrivoluzionario in atto, il problema si pone solo nell'attesa di tempi migliori; tutt'al più Bordiga tendeva a dilazionare nel tempo la prospettiva di una presa di posizione disciplinare da parte dell'Internazionale e continuare a muoversi con elasticità ma con fermezza nel partito fino alla chiusura del periodo storico controrivoluzionario - che riteneva più ravvicinata nel tempo di quanto poi non sarebbe stato - al fine di saldare ciò che restava del passato periodo rivoluzionario con una nuova fase; questa linea d'azione veniva ad infrangersi nel 1930 con il provvedimento di espulsione dal partito. Non a caso nel 1926 in un incontro a Napoli fra Repossi e Bordiga, quest'ultimo è contrario all'idea della formazione di una frazione e su questo punto, casomai è proprio Repossi che per un certo tempo è sulla stessa lunghezza d'onda di Korsch.
Il volume su Korsch e i comunisti italiani comprende un'appendice con la lettera di Bordiga a Korsch del 28 ottobre 1926 dove si nega il carattere borghese della rivoluzione russa, tesi sostenuta da quest'ultimo in linea con la KAPD e con i futuri consiliari, e dove si nega la possibilità di un nuovo raggruppamento esterno all'Internazionale; conclude il testo una serie di Risoluzioni e mozioni approvate dal gruppo Kommunistische Politik. Si tratta degli atti della III Conferenza nazionale del gruppo Kommunistische Politik: da questa risoluzione si evidenziano i tratti in comune con la sinistra italiana e quelli invece particolarmente lontani. Per Korsch e i suoi, la rivoluzione in Russia del 1917 "è stata una forte spinta per la rivoluzione proletaria internazionale (...) essa ha realizzato, nel suo corso, il programma di Lenin per il compimento della rivoluzione borghese tramite il proletariato (ma) nel riflusso della rivoluzione mondiale si manifesta sempre più chiaramente il carattere borghese della rivoluzione russa". La sinistra italiana in quegli anni non si pronuncia sul carattere sociale della rivoluzione in Russia, non tutto è ancora perduto e si può lavorare per raddrizzare il corso in URSS. Assonanza c'è invece sul giudizio dell'Internazionale: la tattica del fronte unico successiva al III Congresso mondiale è il punto di inizio della degenerazione dell'IC. Si noti, tra parentesi, che a suo tempo, Korsch era stato però un entusiasta sostenitore della politica del fronte unico e della formula del governo operaio e contadino. Per quanto concerne il partito, Korsch e i suoi ritengono che in questo periodo intermedio il partito comunista non esista più e il nuovo non esista ancora, mentre la sinistra italiana continua a definirsi Frazione di sinistra del PCd'I fino al 1935, quando giudica morta l'Internazionale e il partito passato nel campo della controrivoluzione, tanto che cambierà nome in quello di Frazione dei comunisti di sinistra, poi, con l'unione dei comunisti di sinistra belgi e altri, Frazione italiana della sinistra comunista internazionale. Da parte sua Bordiga nella lettera a Korsch del 1926 sostiene che "non bisogna volere la scissione dei partiti e dell'Internazionale. Bisogna lasciare compiere l'esperienza della disciplina artificiosa e meccanica col seguirla nei suoi assurdi di procedura fino a che sarà possibile, senza mai rinunciare alle posizioni di critica ideologica e politica e senza mai solidarizzare con con l'indirizzo prevalente".
Un'altra carenza che ravvisiamo nel testo di Montaldi è la diversa opinione di Korsch e dei comunisti italiani e la divergenza di giudizio sull'opposizione trockista, ma d'altra parte si tratta non di un ponderoso volume di ricerca storica, ma di un veloce excursus su Korsch e gli italiani, più che altro un pretesto per stampare la lettera di Bordiga e gli atti della III Conferenza del gruppo di Korsch e allora di più non poteva essere trattato.
In questo testo Danilo Montaldi abbandona la ricerca sociologica e l'attività volta alla riscoperta e alla riscrittura delle tradizioni operaie attraverso le testimonianze orali, così come abbandona la militanza immediata a contatto con i proletari per abbracciare invece l'obiettivo, pur sempre militante, di ristabilire certe verità, soffocate, in Italia, dallo stalinismo aperto prima e successivamente nascosto di tutta la sinistra compresa quella che si definiva rivoluzionaria o di classe.
m.g.
SCHEDA 5 - DANILO MONTALDI
"Bisogna sognare - Scritti 1952-1975"
Si tratta di un libro importante, estremamente articolato, che proprio per l'apparente eterogeneità degli scritti raccolti riesce a rendere con fedeltà il ritratto di un intellettuale e militante atipico, dei suoi rapporti con la politica, la sinistra, le trasformazioni sociali e la classe in un percorso che va dal secondo dopoguerra alla metà degli anni settanta. Un periodo storico che con la complessità degli eventi registrati segna tuttora pesantemente prospettive e rapporti socio-politici della classe e del corpo sociale.
Tre filoni principali nell'antologia degli scritti di Montaldi: quelli "militanti" su Battaglia Comunista (e in seguito su Azione Comunista) classicamente disposti intorno alle proprie granitiche certezze come si conviene ad una certa linea di pensiero iper-bordighista; quelli "politico-culturali" dedicati al dibattito nell'intellettualità e nella Gauche francese a partire dagli anni '50 e quelli "teorico-sociologici", ovvero a carattere socio-politico dedicati al proletariato cremonese, al suo "ambiente" e ai militanti politici del dopoguerra che già delineano lo stile dell'inchiesta operaia che troverà compimento nelle "Autobiografie della leggera" e "Militanti politici di base". Attorno a questi scritti una miriade di articoli di critica letteraria, di critica di costume, di critica d'arte e cinematografica, sceneggiature ("La matàna de Po" (1959)), recensioni, biografie. In appendice, fra l'altro, una traduzione importante: "L'operaio americano" di Paul Romano, la cui lettura converrebbe a molti in tempi di "postford-taylorismo" galoppante e imperante.
Un libro estremamente complesso, dicevamo, il cui taglio e la scelta (o meglio la non-scelta) degli scritti può lasciare legittimamente perplessi quelli che sono abituati ad un'opera preventiva di filtro e di interpretazione che rende più fruibile opere di questo tipo.
Io credo sia preferibile - particolarmente in questo caso - mettere a disposizione tutto il materiale "ordinato grezzamente" in modo cronologico perché a obbiettive difficoltà di lettura (come riconnettere i fili sparsi della critica montaldiana alle vicende della sinistra di classe o autosedicente tale che vanno da "Curva discendente: Trotzky, trotzkismo, trotzkisti" (1953) a ""La Verità" (1945-1946)" e ""Prometeo" (1946-1952)" (1962) o a "La fine del PSIUP" (1972) passando per una moltitudine di note e considerazioni, di spezzoni d'analisi contenuti in altri articoli; o ricollegare gli interventi sulla questione sindacale o quelli sul ruolo dei partiti di massa della sinistra nel teatrino della politica italiana?) si contrappone la possibilità di cogliere uno sviluppo di pensiero in divenire, in progress o in regress, mai comunque statico. Pensiero che è costituito di osservazione attenta e generalmente radicalmente critica di trent'anni di vicende italiane e non solo, o di illuminanti anticipazioni sui topòi di certa "autorappresentazione sociale" - "Cronaca nera" (1959).
Intendiamoci, quello di Montaldi non è un punto di vista né privilegiato, né centrale rispetto ai fenomeni di cui in lui cerchiamo testimonianza: l'estrazione, l'humus culturale, i riferimenti sono indissolubilmente legati alla Padania come testimoniano la peculiare angolazione degli scritti in cui tratta dei "militanti politici di base" e del "partito diffuso" come categorie di un certo milieu di provincia - "Un inchiesta nel cremonese" (1956). Tuttavia è proprio questo "sbilanciamento" che gli consente di "chiosare" con rigore alcune fasi del dibattito sulla questione agraria, in quegli anni molto più centrale di oggi - "Crisi del mito contadino" (1957) e "Miglioli, Grieco e il contadino della Valle Padana" (1958).
Ritornando ai tre filoni principali degli scritti di Montaldi, mi pare di poter affermare che quello che oggi mostra meno i segni del tempo, quello meno datato, sia quello che potrebbe essere chiamato "sociologico". Non perché gli articoli "militanti" su "Battaglia Comunista", "Azione Comunista" e "Questioni" - sebbene paludati di certezze apodittiche - non affrontino temi ancor oggi importanti come la degenerazione burocratica degli apparati, il parlamentarismo, l'opportunismo e così via. Non perché gli articoli sulla Francia affrontino questioni "chiuse". Non è chiuso il problema del colonialismo affrontato dagli articoli sulla lotta di liberazione algerina. Non è chiuso il dibattito sul ruolo degli intellettuali e del loro rapporto con il "partito" trattato negli articoli su Camus, Sartre, il marxismo e il PCF. Ma piuttosto perché Montaldi - che al di là delle apparenze non è uomo da "teoresi" rivoluzionaria - in questo campo propone stimoli che in un periodo di trasformazioni sociali accelerate come quello che stiamo vivendo conservano la loro capacità di "pungere".
In opposizione alla considerazione della sociologia come "scienza" di rapporti e leggi che prescindono metastoricamente dal divenire sociale e dalle sue determinazioni concrete e pure in opposizione ad una certa sociologia marxista che riduce questa disciplina ad una propaggine ancillare della teoria rivoluzionaria dove l'ontologia dei soggetti sociali è la cristallizzazione morta di queste determinazioni, Montaldi dispone i paletti di un recupero del marxismo come "scienza sociale" nella pienezza del termine, cioè come teoria critica, radicale e generale della società non coartata né dal determinismo, né dall'economicismo, né dal politicismo. Si tratta certo di tentativi, di spezzoni d'analisi metodologica, di parziali risultanze di ricerche, di annotazioni critiche sparpagliati un po' dappertutto nei suoi scritti a partire dalle chiose al primo Congresso nazionale di Scienze Sociali - "Sociologia di un congresso" (1958).
Tentativi non sempre e non troppo riusciti che tuttavia illustrano uno scopo tenacemente perseguito e una tensione continua al suo raggiungimento. Che testimoniano di un valore della ricerca in sé e per sé, e per chi voglia oggi raccoglierne la sfida.
Per concludere questa breve recensione direi che di Montaldi da questi scritti emergono almeno tre caratteristiche fondamentali: l'atipicità, l'eclettismo culturale e il rigore analitico. Caratteristiche che cozzano contro l'iperconformismo ristretto e sciatto di molta dell'intellighenzia di sinistra (anche la più celebrata) e dell'avanguardia della sinistra di classe che ha animato il dibattito politico di questi ultimi decenni.
g.b.
RECENSIONI
SCHEDA 6 - PHILIPPE BOURRINET
"Alle origini del comunismo dei consigli" - ed. Graphos , Genova 1995
Dire che ci si aspettava da anni un testo simile è affermare una banalità: il volume, oltre 500 pagine, offre una storia ragionata della corrente della sinistra radicale che parte dagli inizi del secolo per arrivare a lambire i giorni nostri. Basta dare un'occhiata all'indice per avere un'idea del carattere dell'opera: la prima parte, dal tribunismo al comunismo, presenta capitoli come Origine e sviluppo della corrente tribunista, Il marxismo olandese e Pannekoek nella Seconda Internazionale e un altro sulla prima guerra mondiale. Le parti successive prendono in esame la sinistra olandese nella Terza Internazionale, l'opposizione alla sua degenerazione fino alla sua separazione e alla formazione del Gruppo dei Comunisti Internazionali (GIC) il principale organismo consiglista (noi avremmo preferito tradurre con consiliare il francese conseilliste). Il testo prosegue con le vicende della sinistra olandese durante il nazismo, la seconda guerra mondiale e questo dopoguerra.
La corrente che sarà successivamente chiamata Comunismo dei consigli ha origini ai primi del secolo come opposizione interna al "marxismo ortodosso" della Seconda Internazionale: è una puntualizzazione delle capacità reattive e radicali del proletariato, e l'apologia del carattere spontaneo della lotta di classe, contro la sclerosi delle mastodontiche organizzazioni sindacali e politiche. Su questo punto la sinistra olandese è sulla stessa lunghezza d'onda di Rosa Luxemburg e della sua polemica con Kautsky, prima ancora di Lenin e dei bolscevichi. Gli olandesi si pongono sia contro il revisionismo che contro l'austromarxismo e il centrismo kautskiano e non a caso, retrospettivamente, Lenin, in Stato e rivoluzione, riconoscerà la giustezza della visione di Pannekoek contro Kautsky sulla questione dello Stato. Notiamo, en passant, che, a posteriori, i consiglisti riterranno la Seconda Internazionale come borghese dalla sua fondazione, ma Bourrinet fa notare questo abbaglio.
Uno dei punti più interessanti e controversi è il conflitto che si ha fra l'Internazionale Comunista, appena fondata, e l'Ufficio di Amsterdam. Alla fondazione della Terza Internazionale, si decide l'apertura di un ufficio in Europa Occidentale: sarà il Bureau di Amsterdam, siamo nell'autunno del 1919, ne fanno parte, fra gli altri Gorter, Pannekoek, la Roland-Holst, noti elementi radicali, mentre in Germania, a Berlino, viene costituito un Ufficio provvisorio di cui fanno parte Levi e Clara Zetkin, della destra del Partito Comunista di Germania (KPD) e propendenti verso il Partito Socialdemocratico Indipendente (USPD), i fuoriusciti dal partito socialdemocratico durante la guerra. Le posizioni del Bureau di Amsterdam sono quelle caratteristiche dell'antiparlamentarismo, dell'uscita dai sindacati considerati un pilastri del stato capitalista e per la formazione di organismi unitari autonomi; rileviamo qui che non è affatto messa in discussione la presenza e l'importanza del partito. Le divergenze fra il Bureau e il Segretariato non tardano a manifestarsi, ma, d'altra parte, non fanno che riflettere le ali del rinascente movimento comunista appena formalizzato nella Terza Internazionale. E' nota la chiusura d'ufficio del Bureau di Amsterdam. Ma queste stesse divergenze si manifestano nell'estate del 1920 all'epoca del II congresso mondiale dell'IC: gli olandesi sono gli "estremisti" (Lenin, L'estremismo, malattia ecc.), ma vi sono altri "estremisti", i tedeschi del Partito Comunista Operaio (KAPD), appena usciti dal KPD, quando questo, nella sua riorganizzazione dopo la repressione del gennaio 1919, era caduto in mano ad elementi opportunisti alla Levi, gli italiani antiparlamentari del PCd'I, gli inglesi degli Shop Stewards (i delegati di reparto), gli americani del partito comunista di Louis Fraina che si contrapponevano al partito comunista operaio in cui militava John Reed. L'ala radicale si trova in opposizione all'Esecutivo dell'Internazionale e in particolare a Zinovev; ma anche Lenin e Trockij fanno la loro parte contro i radicali sulla questione sindacale, su quella parlamentare e Bordiga che, per disciplina di partito, accetta le tesi sul parlamentarismo rivoluzionario, quasi quaranta anni dopo dirà: "Purtroppo avevamo ragione noi".
La sinistra olandese, gli "estremisti", erano stati fra i primi ad essere sulla stessa linea di Lenin, quella del disfattismo rivoluzionario: essi si erano posti in una posizione radicale che era diversa a quella del gruppo Internationale di Rosa Luxemburg e Liebknecht: mentre la Luxemburg era per una pace democratica e senza annessioni, per una vera democrazia, per la pace fra i popoli, Lenin e la sinistra olandese - ma anche la sinistra radicale tedesca, la Sinistra di Brema e altri raggruppamenti - erano per la fine della guerra con la lotta di classe, col disfattismo rivoluzionario, ed era la stessa posizione di Bordiga e dei suoi in Italia.
E' interessante l'osmosi, messa in evidenza dall'autore, fra la sinistra radicale tedesca e quella olandese nel corso dell'ondata rivoluzionaria successiva alla prima guerra mondiale. Ad un KAPD di Gorter corrisponde un Partito Comunista Operaio in Olanda (CAPN); proprio con quest'ultimo, la tendenza di Essen del primo e altri partiti "estremisti" formeranno la KAI, l'Internazionale Comunista Operaia, che in un periodo ormai avviato verso la controrivoluzione non potrà sopravvivere: a niente potrà il volontarismo dei singoli individui e delle singole organizzazioni.
Sebbene a posteriori i bordighisti ci terranno a delimitarsi dagli estremisti tedesco-olandesi: è interessante notare che, ad esempio, Pannekoek nel 1920 non era un consiglista (ma soprattutto non esisteva una corrente consiglista), era anzi contrario alla corrente antipartito di Otto Rühle, tanto che per questo motivo Rühle fu espulso dalla KAPD. Scrive Bourrinet: "Il Pannekoek del 1920 non era ancora quello consiglista degli anni '30 e '40. Riconosceva il ruolo insostituibile del partito".
Passato il periodo rivoluzionario dei primi anni '20, mentre i partiti comunisti ufficiali tendevano a diventare partiti di massa, le minoranze di sinistra che avevano avuto un loro ruolo nell'Internazionale Comunista, si frantumano o si riorganizzano in frazioni: la sinistra olandese non fa eccezione, nel 1927 da elementi già militanti del CAPN si forma il GIC, il Gruppo dei Comunisti Internazionali; nel 1930 aveva già una cinquantina di aderenti. Questa sigla - che raggruppa parte degli individui e dei raggruppamenti che erano passati attraverso la fase gruppuscolare e di disgregazione del KAPD e delle Unioni operaie tedesche, in seguito al fallimento della rivoluzione in Occidente e alla degenerazione della rivoluzione in Russia - inizia a rifiutare la "politica di partito" per passare ad una "politica di classe", dove con quest'ultimo termine si deve intendere il rifiuto del partito politico di classe a favore di raggruppamenti operai di base ed autonomi. I consigli operai sono il momento di sintesi della coscienza di classe operaia, sia nella fase immediatamente precedente alla presa del potere, sia nella gestione della trasformazione di dissoluzione del MPC. Il partito di classe non può esistere senza tarpare le ali alla classe operaia; naturalmente gli operai devono uscire dai sindacati per costituire dei nuclei autonomi ed è esclusa ogni politica elezionista e parlamentare, anche nel senso del parlamentarismo rivoluzionario leniniano. La rivoluzione russa è ormai chiaramente definita come rivoluzione borghese effettuata dai bolscevichi, espressione dell'intelligencija piccolo-borghese.
Il rifiuto del partito di classe è evidentemente il prezzo pagato dai comunisti dei consigli alla controrivoluzione ormai imperante.
Il compito di un raggruppamento come il GIC è quello dell'elaborazione teorica, la sua diffusione e l'eventuale opera di collegamento fra gli operai in lotta. Il GIC in genere respinge la teoria della crisi mortale del capitalismo - a suo tempo Pannekoek aveva criticato L'accumulazione del Capitale di Rosa Luxemburg - per abbracciare soprattutto la teoria della caduta del saggio del profitto. Ma il GIC aveva una struttura basata su gruppi autonomi per cui alcuni gruppi locali parteggiano per la teoria luxemburghiana. Alcuni gruppi ed elementi, sulla base della teoria luxemburghiana dell'accumulazione capitalista, negano la possibilità di lotte di liberazione nazionale, mentre altri, come Pannekoek stesso, hanno una visione che si avvicina a quella che esprimerà Bordiga sulle lotte dei popoli di colore. E' singolare vedere che sarà la Sinistra Comunista d'Italia ad abbracciare con maggior coerenza la teoria della decadenza del capitalismo luxemburghiana e a negare la possibilità di lotte di liberazione nazionali. Ma ciò che accomuna tutti i consiglisti è la visione secondo la quale il capitalismo sta evolvendo in capitalismo di stato e non si può non notare che anche i "bordighisti" all'estero stavano evolvendo verso questa interessante posizione.
Abbiamo citato il GIC in quanto gruppo politico più rappresentativo, non dobbiamo però dimenticare un vasto proliferare, in Olanda, ma anche in Germania e in Danimarca di una miriade di gruppi consiglisti.
Fra i lavori teorici più interessanti del GIC abbiamo i Principi fondamentali di della produzione e distribuzione comunista, dove si cerca di tratteggiare le caratteristiche distintive del periodo di transizione al comunismo: Bilan, la rivista della Sinistra "Italiana", ne pubblica un riassunto scritto da un membro della Ligue des Communistes Internationalistes belga e ne fa una critica: ridurre il tutto al tempo di lavoro può riportare al dominio del MPC e inoltre l'aspetto politico di intervento della dittatura del proletariato passa in secondo piano.
All'avvento del nazismo in Germania, parte dei consiglisti, fra cui Mattick, emigrano in America dove partecipano a raggruppamenti con propri organi di stampa, ad esempio International Communist Councils, Living Marxism, New Essays. Non c'è qui lo spazio per illustrare le scissioni e le riorganizzazioni sia negli USA che in Europa, sarà il lettore a scoprirlo leggendo il testo. Basti qui ricordare gli interessanti testi ed articoli sia teorici che contingenti, come commento agli avvenimenti politici dell'epoca. La caratteristica particolare è che tutti i gruppi consiliari, rifiutano ormai la forma-partito, abbracciando la forma-consiglio, cosa che li tiene separati dalle correnti più vitali del movimento rivoluzionario.
Un interessante paragrafo del libro di Bourrinet è dedicato a Marinus Van der Lubbe, l'incendiario del Reichstag. Era un operaio molto attivo negli scioperi e nelle lotte dei disoccupati ed era in contatto con il GIC pur non facendone parte. E' nota a tutti la fine di Van der Lubbe che non era né un provocatore, né un pazzo: al processo lo stalinista Dimitrov, imputato, chiede la condanna di Van der Lubbe "in quanto ha operato contro il proletariato", i nazisti accolgono la sua richiesta: condanna a morte.
Una posizione importante e pressoché sconosciuta è quella sulla guerra di Spagna: nel luglio del '36 non c'è uno scontro fra fascismo e antifascismo, né fra Fronte Popolare e militari insorti, ma tra rivoluzione e controrivoluzione. Ma questa posizione è valida solo per la rivolta operaia del luglio 1936: la rivolta si accartoccia nell'antifascismo e la guerra si trasforma in conflitto internazionale fra le grandi potenze imperialiste in cui il proletariato spagnolo si batte per interessi non suoi, per cui lo scontro è scontro imperialista mascherato ideologicamente come battaglia tra fascismo e antifascismo o, peggio, fra rivoluzione proletaria e controrivoluzione (concezione, quest'ultima, anarchica e trockista). A nulla valgono le cosiddette imprese collettivizzate in quanto sono poste sotto il controllo dei sindacati - organi statali di inquadramento del proletariato - e non vi è traccia di gestione autonoma da parte degli operai; non esistono soviet o consigli operai, le imprese collettivizzate dai sindacati sono una delle varie vie che portano al capitalismo di stato.
Mentre i comunisti dei consigli negli USA conservano un atteggiamento conciliante nei confronti della CNT e degli anarchici, il GIC attacca duramente tutto il movimento anarchico, senza fare distinzione - giustamente secondo noi - fra i puri e duri alla Durruti e gli anarchici governativi: i governativi non avevano tradito ma messo coerentemente in pratica i loro principi, mentre gli intransigenti alla Durruti servivano da cauzione di sinistra per rendere ancora credibile il movimento anarchico. I consiglisti proclamano che la priorità andava alla lotta di classe contro la lotta di stati, repubblicano e democratico l'uno, fascista l'altro. E' evidente che questa posizione si distacca da quella del POUM, complice degli stalinisti nel disarmo teorico della classe operaia.
Questa posizione è riscontrabile nella Sinistra "Italiana" (detta bordighista), ma i "bordighisti" conservano e difendono questa posizione con più coerenza provocando un dibattito internazionale che porterà alla scissione in gruppi come la Ligue des Communistes Internationalistes belga - vicini a posizioni consigliste - e alla formazione di una Sinistra Comunista Internazionale. Pur partendo da posizioni teoriche corrette il GIC finisce per trovarsi invischiato in una conferenza sulla Spagna con la partecipazione dei gruppi antistalinisti più eterogenei e raffazzonati: i trockisti, l'Union Communiste francese vicina al POUM, Mjasnikov, Ruth Fischer e Maslow e altri. Bourrinet si chiede il motivo di questa incoerenza del GIC e dà una risposta che può essere considerata valida: il GIC teme di doversi comportare da organizzazione, quello è il periodo in cui i consiliari insistono sulla peculiarità distintiva e caratteristica dei consigli operai come panacea universale della lotta di classe vittoriosa. L'unica organizzazione con la quale il GIC poteva iniziare una reale discussione politica feconda per tutti era la Sinistra Comunista Internazionale, ma il feticismo antipartitico e l'ideologia fossilizzata dei consigli operai la tengono lontana da questa organizzazione. Ciononostante - dice Bourrinet - "gli avvenimenti spagnoli furono in ogni caso una verifica importante. Contrariamente ad altre formazioni consigliste, il GIC non conobbe una deriva né verso il trockismo, né verso l'anarchismo".
Allo scoppio della seconda guerra mondiale il comunismo dei consigli dichiara il conflitto imperialista da ambo i lati, come la Sinistra Comunista, nessuna difesa dell'URSS dunque, né di un presunto campo democratico o progressista. Il testo porta esempi di intervento nelle lotte operaie nel 1941 e 1942 e prosegue con l'attività di questa corrente negli anni '40 e '50.
Il movimento di sciopero in Francia del maggio 1968 risveglia un interesse per il comunismo dei consigli, ma preferiamo lasciare al lettore il piacere di vedere gli esiti di tanto lavoro; rileviamo soltanto che diversi gruppi consiliari si sono integrati in organizzazioni eredi della sinistra comunista completando quel contatto e quella fusione rimasta incompleta negli anni '30.
Rimaniamo perplessi per quanto riguarda il titolo del libro: Alle origini del comunismo dei consigli. Il testo è la traduzione de La gauche hollandaise uscita come prodotto della Corrente Comunista Internazionale di cui l'autore è stato militante fino al 1990; non ci interessano le paternità del testo, anche perché l'autore, in un avertissement au lecteur, in nostro possesso, dice che il testo è di tutto il milieu politique révolutionnaire. Dicevamo del titolo: parlare di comunismo dei consigli è riduttivo e fuorviante in quanto il pregio di questa corrente non sta nell'avere teorizzato i consigli come antidoto alla degenerazione della rivoluzione, anzi l'ideologia consiglista è stata, casomai, un difetto; il pregio è stato - in genere, non sempre - quello di resistere controcorrente all'ideologia antifascista, resistenziale, quello di definire il comunismo come fine dell'economia mercantile e dello stato. Il termine di comunismo dei consigli spesso è stato usato dall'industria culturale di sinistra sempre pronta a scoprire o a riscoprire l'ultima novità in campo editoriale, ad esempio mescolando alla rinfusa il consiglismo di Gramsci e quello di Pannekoek, ma il termine è stato usato anche da comunisti radicali negli anni '60 e '70: il peso della controrivoluzione li obbligava a differenziarsi, ma la differenziazione avveniva nei dettagli. Non sappiamo se la scelta del titolo italiano è dell'editore o dell'autore, sta di fatto che Bourrinet, nella sua corrispondenza privata, ma resa pubblica, parla del suo testo come La Gauche Hollandaise.
mauro guatelli
RICERCHE
Gli anarchici nella resistenza in Liguria (parte prima)
L'altra resistenza a Genova
Nell'ambito della marginalizzazione di avvenimenti storici (movimenti, militanti, idee) un posto di tutto rispetto, purtroppo, spetta alla ricostruzione delle vicende dell'antifascismo in generale e della resistenza in particolare che hanno avuto protagonisti militanti e organizzazioni né allora, né oggi inquadrabili nel cosiddetto fronte istituzionale. La lotta antifascista nelle sue varie fasi (l'opposizione al fascismo montante, la clandestinità e l'esilio, la cospirazione, la lotta armata, la fase "insurrezionale") è stata omologata come lotta democratica tout court, tesa alla difesa e poi al ripristino delle libertà civili e politiche, in seguito alla riconquista - in queste direttrici - dell'indipendenza, dell'unità nazionale e della pace. Tutte le deroghe che la storiografia di sinistra si è concessa rispetto a questo canone interpretativo si sono sempre affievolite nello sviluppo temporale degli eventi oggetto d'indagine e si sono progressivamente smorzate negli anni dal dopoguerra ad oggi, confinate o all'ambito accademico o al pressoché inesistente dibattito tra i cultori della lotta di classe primo mobile che oggi popolano, quasi esclusivamente, la sinistra non istituzionale. Quando poi oggi - pubblicamente e con una certa risonanza - si affrontano i temi del fascismo e dell'antifascismo è solo per discettare - in termini di polemica politica attuale, dunque dicendo a Tizio perché Caio intenda - sull'affidabilità democratica della destra odierna e i suoi legami con il fascismo storico o sulla necessaria rimozione collettiva di quegli eventi perché legati ad un contesto ormai definitivamente concluso. L'impressione è comunque che passato il cinquantesimo della liberazione tutti tireranno un bel sospiro di sollievo e gli stessi celebratori riporranno, senza troppi rimpianti, memorie e commemorazioni, lasciando il 25 Aprile all'oblio delle Ricorrenze Perdute (Primo maggio, XX settembre,...) e alla gioia dei cacciatori di week-end.
Prima che questa sorte si compia e che l'antifascismo e la resistenza siano consegnati ai manuali di storia, alle tesi dei laureandi o alle episodiche ma ricorrenti richiamate in servizio in funzione delle contingenze dello scontro politico (ricordiamo, ma per dimenticarlo in fretta, il 25 aprile anti-Berlusconi) mi sembra necessario ripristinare un minimo di obbiettività storica su parte di quegli eventi. Questo per rispetto verso noi stessi, verso le aspettative e gli intendimenti dei loro protagonisti e verso la pluralità delle culture politiche che sono state compresse nella qualifica generica di antifasciste.
L'ottimo saggio di Peregalli (L'altra Resistenza) è, in primo luogo, la classica ma solitaria voce fuori dal coro che ingrigisce ancora di più la piattezza uniforme della storiografia "resistenziale" ufficiale. In secondo luogo è una trattazione pressoché completa delle manifestazioni ed espressioni antifasciste e resistenziali al di fuori dello "spettro visibile" nazional-popolare. Non dedica tuttavia spazio - per una serie di comprensibili ragioni - alle manifestazioni della "dissidenza" (come lui la chiama) antifascista e partigiana in Liguria e a Genova. La comprensibilità delle sue ragioni (l'estrema penuria delle manifestazioni esteriori dell'altra resistenza in un panorama come quello genovese universalmente riconosciuto come il più "unitario", l'assenza pressoché totale di documentazione e di testimonianze inerenti e in ultimo, forse, l'estraneità di Peregalli alla cultura politica anarchica e libertaria che egemonizzò nel genovese queste manifestazioni di non uniformità) tuttavia non lo avrebbe dovuto esimere dallo scavare un poco più a fondo. Sicuramente non esime chi, vivendo a Genova e condividendo in gran parte quella cultura politica, intenda contrastare la "marginalizzazione" di esperienze storiche del proletariato.
Ci troveremo perciò a tentare di ricostruire un pezzo di memoria che è all'intersezione tra la storia "interna" del movimento anarchico genovese, il suo radicamento di classe, la sua crisi e la storia "esterna" della lotta cospirativa e insurrezionale contro il nazi-fascismo e del ruolo che gli anarchici vi hanno giocato.
L'antifascismo degli anarchici
Le dimensioni quantitative della partecipazione anarchica alla lotta partigiana a Genova sono sicuramente superiori a quelle che gli scarsi accenni degli storici della Resistenza ligure più accreditati (Gimelli, Miroglio, ecc.) fanno intendere. E sono probabilmente superiori a quelle ritenute plausibili immediatamente dopo la fine della guerra dagli anarchici stessi. Di per se tuttavia questo non è un dato qualificante se non lo si colloca all'interno della peculiare concezione (rivoluzionaria ed internazionalista) che gli anarchici ebbero della lotta antifascista come di una fase contingente - certo importante, ma non centrale - all'interno di un progetto rivoluzionario, anticapitalista e antistatalista. Questa purezza di ideali, sommata alle note remore ad assumere forme organizzative centralizzate e fondate su vincoli disciplinari, condizionò certamente sia la possibilità di mantenere un minimo di efficiente struttura clandestina durante il ventennio, che quella di mantenere comunque un rapporto organico con la massa dei lavoratori (come tentarono e in parte riuscirono a fare i comunisti con l'entrismo - osteggiato tuttavia da molti militanti di base - nelle organizzazioni di massa fasciste). Come si ricava dalle biografie di tanti anarchici attivi nel biennio rosso e poi di nuovo a partire dal '43 nella lotta partigiana, la scelta per molti fu tra l'esilio e il silenzio come unica difesa della propria dignitosa intransigenza. Non vogliamo certo far torto ai tanti compagni liguri e genovesi che pagarono con lunghe condanne detentive o con il confino la propria aperta opposizione al regime, né a tutti quelli che dall'esilio (o nella guerra di Spagna) continuarono nei fatti a propagandare sia l'avversione al fascismo che la propria fede nella rivoluzione proletaria e internazionale (molti ne incontreremo fra i protagonisti della lotta partigiana), ma sentiamo la necessità di individuare tutti quei motivi storici e politici che possano gettar luce sulla profonda discrepanza tra le migliaia di iscritti anarchici, libertari e sindacalisti rivoluzionari alle Camere del Lavoro del ponente industriale negli anni '20 (la sola C.d.L. di Sestri P. a maggioranza anarcosindacalista contava circa 14.000 aderenti) e la cinquantina di vecchi militanti che a partire dal novembre del '43 riorganizzarono la presenza anarchica nelle manifatture e nei quartieri del ponente e dettero vita alle prime squadre d'azione comuniste libertarie. Certo questo fenomeno riguardò tutti i vecchi partiti e forze di opposizione al fascismo (con la parziale eccezione del partito comunista che mantenne pur tra molte difficoltà una struttura clandestina abbastanza efficiente) che tuttavia riguadagnarono rapidamente consensi ed adesioni in virtù in pari misura divisa della contingenza delle proprie parole d'ordine, delle capacità politiche e manovriere dei propri leader locali e nazionali, delle entrature di questi ultimi presso gli Alleati e infine di programmi politici democratico-borghesi che in larga misura predicavano il ritorno allo status ante e l'obbiettivo della pace sociale. Come e quanto tutto questo possa riguardare i partiti della sinistra (comunisti, socialisti e frange del Partito d'Azione) i cui militanti spesso si richiamavano a posizioni intransigenti e rivoluzionarie, non è ovviamente materia immediata di questa ricerca come non lo è il giudizio sulla natura della svolta togliattiana di Salerno, le sue implicazioni e i suoi effetti, anche se su questo torneremo trattando della politica del CLN provinciale e sui rapporti che gli anarchici genovesi intrattennero con questo.
Quello che ci premeva far rilevare è che le peculiarità (sia in termini di valori che di limiti) di una tradizione politica come quella anarchica e libertaria rendono inadeguate le valutazioni del puro dato quantitativo come quelle di successo o insuccesso di un'ipotesi politica in base all'efficienza delle sue prestazioni nell'agone di potere e rappresentativo democratico-borghese.
Tenteremo allora di misurare questo ipotetico peso alla luce dei seguenti fattori: a) la disarticolazione pressoché totale del vecchio movimento anarchico ante fascismo; b) il residuo radicamento di classe del movimento nelle sue roccaforti; c) il cospicuo afflusso di giovani che poco o nulla potevano conoscere dell'anarchismo nelle squadre d'azione e nei distaccamenti e le brigate libertarie; d) il peso relativo nell'apparato cospirativo e insurrezionale; e) l'incidenza sulla politica dei CLN; f) l'influenza reale acquisita nella classe operaia genovese.
Una storia che manca: perché?
Mi sembra opportuno esporre preliminarmente le difficoltà che si incontrano nel tentare di ricostruire quello che abbiamo definito un pezzo di memoria, l'intersezione di due storie: quella della lotta partigiana e quella del movimento anarchico.
Incominciamo dalla prima. La storia della lotta di liberazione in Liguria è stata oggetto di una gran quantità di pubblicazioni che spaziano dalla memorialistica, ai saggi e agli articoli su aspetti specifici come quello notevole di Gibelli, Genova operaia nella resistenza, alla pubblicazione di carteggi e archivi privati come il Brizzolara per l'archivio Taviani, ad opere di carattere più generale e sistematico (da segnalare Miroglio, Venti anni contro venti mesi e La Liberazione in Liguria e il classico Gimelli con Cronache militari della Resistenza in Liguria). Purtuttavia in nessuna delle opere che ho potuto consultare ci sono notizie certe sulla consistenza della presenza anarchica nella lotta partigiana (anzi spesso queste notizie non ci sono proprio) ma vi si ritrovano qua e là brandelli di informazioni contraddittorie e a volte palesemente inesatte (come per la zona operativa della Brigata SAP libertaria "E.Malatesta" di volta in volta localizzata a Cornigliano, Pegli o S.P.D'Arena). L'unico che si avventura sul terreno dei numeri è Gimelli che tuttavia attribuisce alla presenza anarchica nelle SAP cittadine una dimensione evidentemente inferiore a quella effettiva e una presenza nei vari CLN (cospirativi, aziendali, legali) che (seppur diligentemente percentualizzata con decimali, operazione che come si sa tende ad autocertificare l'esattezza di quanto si afferma) in primo luogo non risponde all'effettiva partecipazione degli anarchici ai CLN e in secondo luogo - anche se rispondesse - sarebbe comunque frutto di operazione metodologicamente sbagliata (come vedremo più avanti) e sicuramente fuorviante rispetto alla consistenza dei nuclei aziendali e locali cospirativi ed insurrezionali anarchici.
Le cose tuttavia non vanno meglio per quanto riguarda la storiografia anarchica, sufficiente per quanto riguarda la Toscana, scarsa per quanto riguarda l'Emilia e la Lombardia essa è praticamente nulla per quanto riguarda la Liguria e Genova. Le uniche fonti del movimento anarchico che riguardino il ruolo degli anarchici nella lotta partigiana genovese mi risultano essere qualche articolo sparso sulle pubblicazioni del movimento o qualche accenno in saggi di argomento più generale che, sistematicamente, fanno riferimento all'elenco dei caduti anarchici (per molti versi lacunoso ed impreciso) pubblicato sul n.4 Anno VII dell'Impulso organo dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria. La memorialistica anarchica è poi, nel caso genovese, inesistente in quanto a pubblicato e comunque esile e sparpagliata in archivi privati e nazionali. Ma su questo torneremo più avanti.
Restano le fonti primarie ufficiali quali l'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza, l'Archivio di Stato di Genova attuale gestore del Fondo CLN, l'Archivio di Stato di Roma, L'ANPI. Prescindendo dal fatto che l'ANPI provinciale sembra non possedere non solo l'elenco dei partigiani riconosciuti o quello dei caduti ma persino un elenco attendibile delle varie brigate partigiane e delle loro zone operative, resta da dire che per il resto del materiale esistono obbiettive difficoltà di consultazione e per la sua vastità e per i carenti criteri di catalogazione.
Tutto questo, tuttavia, non giustifica l'assenza di una purchè minima relazione sull'attività degli anarchici genovesi nella lotta antinazifascista. O meglio se è comprensibile che questa non sia venuta dalla ricerca storiografica ufficiale o accademica lo è un po' di meno che nessun tentativo di ricostruzione sia avvenuto da parte degli anarchici stessi. A meno che non si voglia considerare il carattere di stretta necessità e di episodicità che essi hanno attribuito alla loro partecipazione alla resistenza. Un episodio limitato all'interno di un percorso rivoluzionario. Un episodio comunque anche di fronte alla lotta degli anarchici contro il fascismo, iniziata negli anni '20 e combattuta in Spagna ancor prima che in Italia. Un episodio forse anche "imbarazzante" perché caratterizzato in senso patriottico e non certo internazionalista, perché combattuto a fianco dei partiti borghesi o di quel partito comunista allora organicamente stalinista e dunque corresponsabile dell'assassinio di Camillo Berneri in Spagna e complice dello sterminio di tanti comunisti e anarchici nei gulag siberiani. Un'insofferenza verso questo stato di "necessità" nemmeno troppo mascherata mi sembra di ritrovare nelle parole di Emilio Grassini in un intervento dai lui fatto in un convegno clandestino degli anarchici a Sestri P. nel giugno del '42: "Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo sempre gomito a gomito con l'arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite. Quali saranno in quel momento i nostri amici e quali i nostri nemici? Difficilmente ci sarà possibile distinguerli e tutti ci appariranno compagni di lotta. Ma caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni .... Perciò nostro preciso compito crediamo sia questo: lavorare contro il fascismo, sì, con chiunque: ma esigere da chiunque il diritto all'affermazione dei nostri sacrosanti principi libertari". Un episodio, uno stato di necessità, una costrizione della quale quando è terminata si parla mal volentieri.
Nei prossimi capitoli vedremo, tra l'altro, lo sviluppo di questa convivenza.
Guido Barroero
LETTURE POSSIBILI
Pubblicazioni periodiche:
A Rivista Anarchica - Mensile - C.P. 17120 -20170 Milano - £.4.000
Alternative libertaire - Mensuel d'alternative libertaire - B.P. 177 - 75967 Paris Cedex 20 - 10 Fr
Anarkiviu - Bollettino di informazioni storiche, bibliografiche e bibliotecarie sull'anarchismo e i movimenti libertari e rivoluzionari nel mondo - Arkiviu Bibrioteka "T.Serra" - via Mons. Melas, 24 - 09040 Guasiglia (Ca) - £.5.000.
N.35 Ottobre 1995:
Redazionale - Collezione opuscoli (parte prima) - Collane possedute (elenco testi) - Bibliografia di Bakunin - Periodici e Numeri Unici in corso.Bandiera rossa
- Per la circolazione d'idee e il confronto tra le diverse esperienze d'ispirazione marxista e anticapitalista - via Varchi, 1 - 20158 Milano - £.4.000n.55 Dicembre 1995: Contro la finanziaria, proposte e nuovi strumenti di F.Burattini - Per organizzare le lotte, per unire le forze di classe di G.Malabarba - Assemblea Slai: il sindacato rinasce dal basso - Super gemina, superproblema di G.Rigacci - Padroni e...gentiluomini di M.Sanacore - Speciale Piemonte
DOSSIER Ernest Mandel: In memoria di Ernest Mandel di A.Mantovani - Il socialismo è stata le ragione della sua vita di L.Maitan - Che cos'è la teoria marxista delle onde lunghe di E.Mandel
L'eredità di Marx e il dramma del mondo moderno di D.Jervolino - Una questione che non riguarda solo gli immigrati di S.Zanetti - Il Mondo: Francia - Bosnia - Ex-Urss.
Che fare - Giornale dell'Organizzazione Comunista Internazionalista - Bimensile - C.P.7032 - 00162 Roma - £.3.000.
n.36 novembre 1995: L'aggressione imperialista contro la ex-Jugoslavia - Italia: i guasti del federalismo in seno al proletariato - Dalla parte della donna - Contro il riarmo imperialista - Cosa pensiamo della droga - L'autunno sindacale - Inserto teorico: "Origini, natura e funzione del partito comunista".
Guerre e Pace
- L'informazione negata sui conflitti e le iniziative di pace - via Festa del Perdono, 6 - 20100 Milano - £.2.000.N.25 Dicembre 1995: Apartheid all'italiana - Bosnia/Pax americana - Il boicottaggio alla Nestlé - Don Milani, trent'anni dopo - Nigeria/oro nero, sangue rosso - Che cosa sta cambiando in Iraq.
Il lavoratore comunista
- Organo del Gruppo Comunista Rivoluzionario - C.P.448 - 20100 MilanoIndipendenza - Informazione, Democrazia, Solidarismo, Liberazione - Bimestrale - C.P.15321 - 00143 Roma Laurentino.
Lutte de classe - Mensuel de l'Union Communiste Internationaliste (Trotskyste) - B.P.233 - 75865 Paris Cedex 18 - 10 Fr.
Lutte ouvriere - Hebdomadaire - Union Communiste (Trotskyste) membre de l'Union Communiste Internationaliste - B.P.233 - 75865 Paris Cedex 18 - 9 Fr.
Per il '68 - Bollettino di ricerche, memorie, critiche e documentazione su avvenimenti, culture, pratiche alternative e ideologie intorno al 1968 - Centro di Documentazione di Pistoia C.P.347 - 51100 Pistoia - £.5.000.
N.8 del 1995: Le culture del movimento studentesco ceco di M.Strmiska - Il sessantotto nella storia d'Italia di E.Santarelli - Uno scandalo all'università di Stasburgo: l'Internazionale Situazionista - di G.Marelli - Fortini e gli amici di Piacenza: Alle origini dei Quaderni Piacentini di G.Muraca.
Alternativa Libertaria
- Organo della Federazione dei Comunisti Anarchici - C.P.1418 - 50121 Firenze - £.2.500.N.0 Ottobre 1995: Programma minimo - L'unione fa la forza di A.Dadà - Scuola: diritto o opzione? di S.Francolini - I libertari e l'educazione di G.Fontenis - Messico: due anni dopo di M.Salvadori - Bosnia: Convivenze o convenienze? di G.Cimbalo.
Ombrerosse - Materiali di discussione
- Bollettino interno n.4 del Circolo Culturale Ombre Rosse - O.R. c/o FCLL C.P.6 - 16010 Serra Riccò (Genova).N.4 Gennaio 1996: Editoriale redazionale - Per la ricostituzione del movimento politico di classe di F.S. - Lotta di classe e organizzazione proletaria di M.Guatelli - Lotta di classe nella transizione al postfordismo. Nuovi problemi? di G.Barroero - Nuovo capitalismo, vecchia lotta di classe? di C.Scarinzi - Le insidie del "Post-Fordismo" di P.Acquilino - La fine del sindacalismo in un paese solo di G.Alioti - Proposta di discussione e di lavoro del G.C.R. - Appunti per una critica al lavoro precario.
Proposta
- Per la rifondazione comunista - Rivista marxista di politica, teoria e cultura - via Panfilo Gastaldi, 29 - 20124 Milano - £.4.000.n.10 Ottobre 1995: Costruire Rifondazione quale autonomo polo di classe di M.Ferrando - Per la presentazione autonoma alle prossime elezioni politiche - Agire da comunisti nel sindacato di F.Grisolia - Un percorso contro divisione e disorientamento - Lavoro e ambiente di T.Bagarolo - Ex Jugoslavia: Barbarie imperialista sotto forma di "guerra etnica" di F.Ricci - La crisi del Forum di San Paolo di F.Grisolia - Le lezioni della Storia di F.Bagarolo - L'attitudine dei comunisti verso il Partito democratico di Marx-Engels - Ernest Mandel (1923-1995).
Rivoluzione internazionale - Organo della Corrente Comunista Internazionale in Italia -C.P. 469 - 80100 Napoli - £.2.000.
N.93 Gennaio 1996: L'imperialismo italiano - L'uccisione di Rabin - Campagna razzismo-antirazzismo - Movimento degli studenti - Nuova sezione della C.C.I. - Il pericolo del parassitismo - Centenario della morte di Engels.
Rivista internazionale
- Organo centrale di intervento della Corrente Comunista Internazionale - C.P. 469 - 80100 Napoli - £.4.000.n.18 Maggio 1995: Conflitti imperialisti: tutti contro tutti - La menzogna dello stato "democratico"- Polemica con Il Comunista sulla guerra imperialista - Bilan n.16, marzo 1935: La sconfitta del proletariato tedesco e l'avvento del fascismo - 1871: La prima rivoluzione della storia il comunismo: una società senza stato
Seme anarchico
- Bimestrale - C.P.217 - 25154 Brescia - £.2.000.Socialismo o barbarie - Rivista bimestrale di politica e teoria - Curata da Socialismo Rivoluzionario - Borgo S.Frediano, 66 - 50124 Firenze - £.8.000.
N.18 Gennaio 1996: SPECIALE: La guerra contro la Bosnia come concentrato della barbarie del sistema... - INTERNAZIONALE: Articoli di M.Ly - F.Beltrame - B.Finger - NAZIONALE: Articoli di C.Olivieri - R.Scarola - D.Di Toso - TEORIA: Russia 1905 di C.Romanini - Articoli di R.Anfossi e R.Neri - DIBATTITO: La Resistenza, una questione aperta di E.De Filippo e M.Modigliani - SAGGIO: Lo Stato del conflitto di D.Renzi.
Battaglia Comunista -
Organo del Partito Comunista Internazionalista - C.P. 1753 - 20101 Milano - £.2.000Fax - Foglio di corrispondenza comunista - via Tor Marancia, 115 - 00147 Roma - £.1.000.
Fili rossi - Quadrimestrale - via Giano della Bella, 22 - 50100 Firenze - £.2.500
Supplemento al N.6 Ottobre 1995: PENSIONI: Pensioni e organizzazione sindacale - Come ha funzionato l'Inps e a che scopo - Contributi, rendimenti, inflazione - Un documento del Comitato Piaggio - I punti principali della riforma
Germinal
- Giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Veneto e ... - Quadrimestrale - via Mazzini, 11 - 34100 Trieste - £.3.000.N.69 Gennaio 1996: Autogestione: Relazioni presentate a Padova alla II Fiera dell'autogestione di Comune Urupia, P.Schrembs, M.Pucciarelli, J.M.Tremont, N.Renato - Ex-Jugoslavia: articoli e lettere - Anarchici oggi : tra la via Emilia e il West di Marco e Roberto - Memoria storica e "Terra e Libertà" di C.Venza.
Prometeo
- Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista - Rivista teorica semestrale del Partito Comunista Internazionalista - Milano - £.8.000.N.9 Giugno 1995: Il capitale verso la guerra. E la classe? - I capitali contro il capitale - Crisi del dollaro e nuovi equilibri monetari - La disoccupazione tra decadenza del capitalismo e illusioni del riformismo - Riproduzione allargata e crisi del capitale.
Confrontations
- Revue de l'Organisation Socialiste Libertaire - Trimestriel - O.S.L. - Vaud - CP 289 - 1000 Lausanne.Agenzia d'informazione - Bollettino del Movimento per la Pace e il Socialismo -C.P.7218 - 00164 Roma Bravetta - £.2.000.
N.4 Ottobre 1995: L'MPS e la riorganizzazione dei comunisti - Lettera ai compagni, prime risposte - Attività e proposte di lavoro della Fondazione Pasti.
Comunismo libertario
- Rivista di teoria e prassi antiautoritaria - Borgo Capuccini 109 - 57100 Livorno - Mensile - £.3.000.n.20 Ottobre 1995: Conflitto sociale ed organizzazione di M.Coseschi - Immigrazione R.Schiavone - Per una strategia sindacale unificante di C.Valente - Spagna '36: tra guerra e rivoluzione (II) di M.Salvadori - Da Stalin alle Nyke di Queribus - Lo Stato è la legalizzazione della violenza del C.S.A.Karibù - Guerre imperialiste, iniziativa proletaria e miti della sinistra di classe di G.Barroero - L'anarchismo e la guerra di G.Angeli - Ai compagni su organizzazione e ruolo politico dell'anarchismo di classe di C.Strambi - Sul dicembre francese di C.Strambi - Obbiettivi e principi della F.C.A. in Gran Bretagna.
Il Partito Comunista
- Organo del Partito Comunista Internazionale - C.P.1157 - 50100 Firenze - £.1.500Umanità Nova - Settimanale anarchico - via Roma, 48 - 87019 Spezzano Albanese - £.2.000
Dintorni - Rivista mensile - Periodico di informazione scientifico culturale e bibliografica -C.d.M. C.P.259 - 41100 Modena Centro.
N.19 Dicembre 1995: Storiografia locale: tra fonti orali e memoria sociale - Storia e memoria del sindacalismo modenese nel libro di un testimone: Eliseo Ferrari, Enzo Ferrari. Le nostre corse di R.Manfredini.
Contropiano - Giornale per l'iniziativa politica di classe - via di Casal Bruciato, 27/B - 00159 Roma - £.2.000.
N.7 del 1995:
Via da Maastricht!! - Voglio vedere questo stupido dove vuole arrivare di M.Donato - E Dini vuol fare l'Europeo.. - Siamo entrati nell'epoca del caos di M.Galvani - Fin qui tutto bene di R.Sassi - In/cubi metropolitani di M.Battisti - Russia: Se vincono i comunisti... di B.Chorev - I "tormenti" delle socialdemocrazie - Perché Woytila dice basta al blocco contro Cuba? - Un milione di "neri" in piazza a Washington.Collegamenti/Wobbly
- Rivista per l'organizzazione diretta di classe - BFS Ed. C.P.247 - 56100 Pisa - £.12.000.N.2 (nuova serie) Febbraio 1995: Contributi di A.Barberi, A.Bihr, S.Capello, G.Carrozza, V.Grisi, C.Scarinzi, R.Strumia sugli scioperi dell'autunno in Francia, legge finanziaria e debito pubblico, il conflitto tra le classi sociali in Italia, l'orario di lavoro, il sindacalismo di base, i centri sociali.
Volontà - Laboratorio di ricerche anarchiche - via Rovetta, 27 - 20127 Milano - £.25.000
N.2-3 Ottobre 1995:
La città è nuda - In quali spazi vivremo nei prossimi anni? E come viviamo oggi nelle città? - Articoli e saggi di G.Agamben, J.M.Alier, M.Alvito, F.Buncuga, G. De Carlo, C.Doglio, H.Freifrau, P.e P.Goodman, F.La Cecla, R.Levine, L.M.Lionni, A.Magnaghi, D.Mittner, F.Paone, P.M.Toesca, N.Vallorani, C.Ward, P.Zanini.Sicilia Libertaria
- Giornale anarchico per la liberazione sociale e l'internazionalismo - via G. Galilei, 45 - 97100 Ragusa - £.1500N.138 Dicembre 1995: Il fascismo sottile del governo Dini - Il cinema della rabbia e delle rose di Ken Loach di P.Bertelli - Scrusciu (inserto) - Anarchia e autogoverno.
Libri:
Jugoslavia: Una guerra del capitale - Raccolta di articoli del Che fare giornale dell'Organizzazione Comunista Internazionalista - p.219, £ 10.000
Queste pubblicazioni, insieme a molte altre e al materiale documentario dell'A.S.C.D., possono essere visionate nell'orario di apertura (mercoledì 17-19, sabato 10-12).
Segnaleremo regolarmente, nei prossimi numeri del bollettino, tutte le pubblicazioni che ci verranno regolarmente inviate.
Nei locali dell'ASCD sono in vendita: Comunismo Libertario, Che fare, Contropiano, Collegamenti/Wobblies, Il lavoratore Comunista, Ombrerosse-Materiali di discussione, Rivoluzione Internazionale e Rivista Internazionale oltreché i seguenti testi delle Edizioni Graphos:
Peregalli A. - L'altra Resistenza - 392 pp. £.45.000
Mingardo M. - Mussolini, Turati e Fortichiari - 168 pp. - £.20.000
Riechers C. - Gramsci e le ideologie del suo tempo - 264 pp. - £.35.000
Peregalli A. - Stalinismo - 270 pp. - £.32.000
Saletta C. - Per il revisionismo storico contro Vidal-Naquet - 120 pp. - £.16.000
Bordiga A. - Il rancido problema del Sud italiano - 104 pp. - £.16.000
Poretski E.K. - I nostri - 296 pp. - £.32.000
Bourrinet P. - Alle origini del comunismo dei consigli - 512 pp. - £.58.000
Anonimo - Dallo sfruttamento nei lager allo sfruttamento dei lager - 60 pp. - £.8.000
Bruzzone R. - Movimento proletario e democrazia extra-istituzionale - 88 pp. - £.10.000